“Un giorno forse riusciremo a cambiare il potere, se prima non sarà lui ad aver cambiato noi”

CettoLettere/ di Piero D’Errico

Avevo perfettamente capito l’andazzo e pian piano vedevo tanti miei amici e coetanei sistemati.

Essendo mio padre noto comunista di paese frequentatore di circoli (sale da barba) e sezioni, prima fila in scioperi e manifestazioni e con sul cuore scolpita falce, martello e stella, capii da subito che se volevo dare un senso a quel titolo di “ragioniere” che racchiudeva i sogni dei miei genitori e che pensavano bastasse per una vita migliore, dovevo cominciare a sbrigarmela da solo.

Cominciai così a frequentare la sezione della DC di via San Paolo, a fare qualche breve intervento e un po’ di attività.

Cominciai ad allacciare le amicizie che contavano e fare concorsi a ripetizione. Concorsi in cui eravamo tutti raccomandati tanto che alla fine selezionavano tra le raccomandazioni più forti. Insomma uno squallore di proporzioni gigantesche, eravamo in quella che qualche anno dopo venne definita “prima repubblica”.

Non ci fu verso neanche nella DC, un partito corrotto come tanti e come tutti con la certezza dell’impunità. E proprio la certezza di farla comunque franca li portava a fare ogni “imbroglio” alla luce del sole. Tutti sapevano e tutti conoscevano quel meccanismo perverso ma nessuno provava a fermarlo. Per farla breve quella mia breve militanza nella DC non portò ad alcun risultato.

Fu tutto affidato al caso, quel caso preso al volo che ti consente di “avere un futuro”. Quel che è venuto dopo è storia, la corruzione non si è mai più fermata, è diventata un fatto “culturale” un automatismo collegato alla politica, un fatto collegato al potere.

Forse un giorno riusciremo a cambiare la concezione del potere. Forse riusciremo a farlo, se ancora prima il potere non ha cambiato noi.