“Presi la curva troppo larga e il vento spinse l’ombrello sino a farlo rivoltare”.

ombrello rivoltatoLettere/ di Piero D’Errico

Ricordo che andare a scuola con l’ombrello, mi provocava un tremendo fastidio.Ma l’ insistenza di mia madre era così forte che alla fine  cedevo.                                                       E guarda caso succedeva che quando portavo l’ombrello usciva il sole e quando no, pioveva.

Mi dava ingombro dal momento che avevo già una mano occupata dai libri.

Abitavo nei pressi del campo sportivo e andavo a scuola all’ Edificio Scolastico.                                                Una distanza di tutto rispetto che allora percorrevo a piedi ogni  giorno, più  volte.                                         Quella mattina avevo 20 minuti di tempo per percorrere quel tratto di strada, ma andando a passo svelto, considerato il vento favorevole, la temperatura mite e i pochi libri sottobraccio   che avevo quel giorno, non era difficile.

Ce l’avrei fatta .

Durante il PRIMO TRATTO di strada ero nella media e tutto procedeva come si dice “per il verso giusto”. Ma arrivato una traversa dopo la Chiesa di via Soleto,  un tuono mi fece sobbalzare.

Feci solo pochi passi e giù acqua a non finire. Cercai di ripararmi ma non volevo fare tardi per cui dopo un po’ con l’ombrello aperto mi rimisi in corsa.

Passai il punto che come al solito si allagava, camminando nell’acqua e scegliendo il percorso dov’era più bassa. Ma ormai nessuno mi avrebbe fermato.

Arrivai vicino alle “ANIME”, prima di immergermi nel Centro Storico, che ero già abbastanza  fradicio, ma confidavo nel fare l’ultimo tratto con l’ombrello chiuso già che aveva smesso di piovere. Speranza vana, ero in piazza SAN PIETRO quando si rovesciò tanta acqua sulla terra, quanta non era caduta negli ultimi cinque anni,  ed io che mi ripetevo:  “meno male che ho preso l’ombrello”.

L’ultimo tratto prima di arrivare all’EDIFICIO SCOLATICO fu una guerra.  Acqua, tuoni, lampi, vento, non mancava niente. D’un tratto come se fosse scesa la notte. Ma ormai ero vicino, testa bassa e via.

Ero all’ultimo tratto, dovevo svoltare a destra. Forse per colpa mia, forse per colpa del vento o forse del destino , presi la curva troppo larga e il vento si infilò all’improvviso sotto l’ombrello spingendolo fuori sino a farlo rivoltare.  Quei 20 metri che mi separavano dal portone, furono una lotta tra me, il vento e l’ombrello, con io che cercavo disperatamente di rivoltarlo dalla parte giusta.  Fu una lotta senza esclusione di colpi ma fui sconfitto, con onore.

L’ombrello si rivoltò completamente e irrimediabilmente. Lo abbandonai in un angolo della strada, e tirai la volata sino al portone che stavano per chiudere.

Anche la porta della mia classe era stata chiusa.  Bussai ed entrai.

Se ben ricordo al mio ingresso sentii partire più di una risata, ma non diedi peso.

Ero bagnato fradicio, i capelli che gocciolavano. Lasciai alle mie spalle una scia d’acqua sul pavimento, dissi BUONGIORNO e andai a sedere al mio posto.

Solo qualche minuto di ritardo. Ero più che soddisfatto, ce l’avevo fatta.