Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

All’improvviso il  “respiro” fu al centro di ogni discorso, all’improvviso c’eravamo accorti che “respirare” non era affatto scontato.

Respirare” era stato da sempre un gesto normale, automatico, ma in quel momento significava  stare bene o stare male.

Siamo stati in molti ad avvertire la difficoltà di poter fare un bel respiro o anche la paura di non riuscire a farlo.

Siamo stati in molti ad avvertire la bellezza di poter finalmente fare un “respiro” forte e profondo.

Ed ora muoviamo i primi passi verso una normalità a lungo aspettata e ancora non ci sembra vero.

Torniamo finalmente a vivere tracce di normalità, a vivere quasi la vita di prima.

Avevamo un po’ perso la speranza e forse per questo ci sembra tutto più bello, un miracolo, da non credere.

Riprendiamo a fare tardi la sera anche senza far niente, andiamo   a spasso “maglione sulle spalle nella notte blu”.

Quel blu che accende e fa risaltare la luce delle stelle.

Riprendiamo a perderci lungo viali alberati, tra un gruppo di ragazzi che  torna a casa ed un signore che esce per recarsi al lavoro.

Bello guardare la vita che riprende a scorrere, guardare la vita che riprende la sua corsa, stare vicini in un bar, in una trattoria, ascoltare senza volerlo i discorsi degli altri, la scuola e l’amore raccontata da due ragazzi, gli auguri al festeggiato che compie gli anni, discorsi di scuse e chiarimenti, rabbia e pentimenti.

Sentir salire l’urlo da dentro lo stadio, le canzoni cantate da centomila persone in un concerto, osservare il mondo che si alza in piedi. Stiamo per toglierci di torno il conteggio quotidiano dei morti, dei ricoveri, dei contagi, il racconto di catastrofi e varianti.

E noi tra di loro, tra profeti di sventura alla ricerca di un ruolo e  un “liberi tutti” alla ricerca di un  consenso.

Tra un po’ di anni, facendo ordine in soffitta, ci capiterà per caso tra le mani una mascherina un po’ sbiadita.

Ci riporterà in quel “passato” ci ricorderà quello che abbiamo vissuto.

Qualcuno si accorgerà di non essere più giovane, qualche altro che è già giovane.

Ci ricorderemo d’essere capitati in una storia di cui si parlerà per sempre.

Tireremo un “respiro” forte, di sollievo, come per accertarci che va tutto bene, che stiamo bene.

Poi chiuderemo tutto e correremo fuori a dare uno sguardo intorno, accertarci che tutto è passato.

Si tutto è passato.

Guarderemo il cielo, guarderemo il mare, guarderemo la vita intorno, quella vita che abbiamo visto sospesa per un anno e più.

Tutti noi “colpiti”, conserveremo i segni, ed io come tanti quella “tempesta emotiva” quella commozione che ti prende per niente, una frase, un’immagine, un gesto, una scena.

E giù qualche lacrima.

Davanti a me scorreranno lontani ricordi ed in fila uno dopo l’altro, quei 15 giorni di straordinaria lentezza.

Io non so com’era il tempo il giorno cui sono nato.

Se piovesse o c’era caldo o tanta neve.

Non l’ho mai chiesto.

Ho dimenticato di chiederlo ed oggi non c’è più nessuno a cui possa chiederlo.

So però com’era nel giorno in cui sono rinato.

C’era il sole.