Rubriche/Opinioni/di Piero D’Errico

Quando finalmente non avevamo più orari, quando finalmente avevamo smesso di mostrare green pass o tornare a prendere la mascherina, quando finalmente cominciavamo a mettere, dopo due anni, la testa fuori di casa   e dare un senso alla speranza che non era mai venuta meno, ecco arrivata, qualcuno direbbe “come pioggia la domenica”, la guerra.

Le sue immagini sono entrate prepotentemente nelle nostre case, racconti  di guerra, di gente che fugge, bambini con sguardi smarriti e storie che lacerano profondamente il cuore.

Abbiamo smesso di conteggiare il numero di morti per covid per conteggiare  il numero di morti per la guerra.

Abbamo sostituito la paura per un virus con la paura di un nuovo conflitto mondiale.

La paura che per qualche piccolo dettaglio, voluto o no, la situazione  possa sfuggire di mano, insomma siamo passati dal covid a Putin.

Non sono mai stato, anche se a pensarci ora mi sarebbe piaciuto, il primo della classe e neanche sono mai stato tra i primi della classe.

Ero nella graduatoria agli ultimi posti, non chiudevo la classifica ma poco ci mancava. Non era però colpa mia, dipendeva dal fatto che non mi restava mai il tempo per studiare.

Gli incontri di mia madre con i prof, erano tutti una costellazione di “potrebbe fare molto” a cui poi lei aggiungeva, però di suo,                   “ma fa poco o niente” e forse non era solo una sua amara deduzione.

Sarà per questo o anche per altro, che non ricordo bene la “storia dei barbari” ma pur nella mia ignoranza, riesco a coglierne una somiglianza che è molto attuale.

Ricordo la storia dei loro saccheggi, le loro invasioni, la loro inciviltà.

Non ci crederete ma dopo oltre 1500 anni abbiamo un nuovo Attila, re

dei nuovi barbari.

Ce n’è voluto di tempo ma è tornato, ha invaso con i suoi barbari

l’ Ucraina e rade al suolo quartieri e paesi.

E noi siamo rimasti sospesi tra minacce e paura, la paura di una guerra senza ritorno che potrebbe bussare alle nostre porte, radere al suolo anche  le nostre città e le nostre case.

E mentre aspettiamo una “pace” che non arriva mai, vediamo scorrere le immagini di Mariupol, messa a ferro e fuoco da Attila e i nuovi barbari

che ora passano a nuove citta per distruggerne storia e bellezza che  preparano bombardamenti e uno spreco di morti.

Perdonatemi se forse vi parlo troppo di questa guerra, ma mi è entrata  nella pelle o forse ho trovato un modo per combatterla anch’io scrivendo    e inviando ogni mia considerazione anche alle loro sedi istituzionali.

Combatto così,  senza armi, senza paura e per quanto possa valere, la mia guerra contro l’ invasore.

Non entro neanche nel merito di chi ha torto o ragione, entro solo nel merito su ciò che non mi va più di vedere, bimbi che piangono, gente     che fugge, rumore di armi, disperazione.

Gente che sino a qualche giorno prima, viveva nelle proprie case, bimbi che sino a qualche giorno prima giocavano tranquillamente nelle loro case, tra le loro cose.

Ed ora sono in giro senza meta, sperando che qualcuno, in qualche parte del mondo, possa accoglierli, possa prendersi cura di loro, forse per poco  o forse a lungo, giusto il tempo necessario e non per sempre, perchè  nei loro volti si legge il desiderio di tornare un giorno, in pace, al loro Paese.

Troveranno cumuli di macerie mischiate a mille ricordi, troveranno tutto da rifare, da ricostruire, dovranno ricominciare.

Forse tra le macerie lasciate da Attila e i suoi barbari “ non crescerà neanche un filo d’erba” ma loro non se ne accorgeranno, non lo cercheranno neanche, per loro la cosa più importante è veder crescere tra  quelle macerie, la pace. Solo la pace.