Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Era la primavera di due anni fa e avremmo cantato volentieri                 “Maledetta primavera”, mai canzone mi sembrò così appropriata.

Un virus sconosciuto aveva travolto e stravolto il mondo, aveva completamente cambiato le nostre abitudini e aveva spento ogni                       gioia.

Ci trovammo chiusi in casa oppure ci trovammo in giro con la  mascherina, poi ci trovammo a cantare dai balconi mentre a poca    distanza si sentivano le sirene delle ambulanze che sfrecciavano da una parte all’altra della città.

Ben presto la paura prese il sopravvento, la paura di ammalarci, di       stare troppo vicini o magari sentirci troppo lontani, la paura per il      lavoro, la scuola, la solitudine.

Abbiamo dovuto  riposizionare gli orari, cambiare le nostre abitudini,

il nostro modello di vita, il nostro modello sociale, riposizionare la     nostra scala di valori, le nostre cose importanti.

Abbiamo dovuto reinventarci e abituarci.

E ogni tanto,  interrogarci sul nostro futuro, su cosa sarebbe restato del nostro lavoro, della vita di prima, di noi tutti.

Ed ogni sera col fiato sospeso a sentire il numero dei morti, dei contagiati dei ricoverati.

Ci siamo uniti e ci siamo divisi, siamo caduti e ci siamo rialzati, siamo rimasti a lungo in silenzio, in attesa, aspettando il giorno in cui dovevamo cominciare a riabituarci alla vita di prima.

E ogni giorno che passava, strappava in noi un pezzo di speranza.

Ed oggi, primo aprile, facciamo i primi passi verso la normalità, cominciamo ad abituarci alla normalità, alla speranza di non dover tornare più indietro.

E ci viene quasi da non credere, in due anni c’eravamo quasi abituati ad un diverso modo di vivere la giornata, a quelle mascherine che per noi sono state una difesa, uno scudo, una barriera.

E oggi finalmente la luce, la luce in fondo ad un tunnel che sembrava non finire mai e noi a correre veloci verso la tanto attesa “vita di prima”.

Fuori il tempo è grigio, pioverà o forse no, in casa mia ancora tracce di un ritorno del virus, ma oggi  è primavera, è una primavera arrivata in ritardo, arrivata due anni dopo.

E allora si, forse è già l’ora di cantare quella vecchia canzone che chi ha   la mia età ricorderà senz’altro, che parlava appunto della primavera, in quel ritornello che tante volte abbiamo canticchiato.

Diceva che oggi:                               

E’ IL PRIMO GIORNO DI PRIMAVERA.