Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Ai miei tempi duravano più o meno quindici giorni le vacanze di Natale  ed in quei quindici giorni toglievamo ogni freno alla nostra fantasia.

Avevamo così poco tempo che non riuscivamo mai a fare i “compiti delle vacanze” che rimandavamo puntualmente da un giorno all’altro.

Una cosa era certa, dall’ultimo giorno di scuola sino al rientro, i libri restavano là dove li avevamo poggiati magari ancora legati con quell’elastico che con un gancio di ferro li teneva stretti.

La cosa era nota anche ai prof, anche loro erano stati alunni prima di diventare prof.

Erano giorni di lunghe passeggiate, di Chiesa, di presepi, di profumo di miele e di incenso, di pigne scoppiettanti che al fuoco si aprivano.

C’era in giro un’allegria che col tempo non ho più trovato, in giro c’era un’atmosfera che non ho mai dimenticato, un’emozione che non ho più riavuto.

Era una festa di casa e di Chiesa, di parenti, di famiglie che si riunivano   in lunghe tavolate e interminabili chiacchierate.

Tornavano dal NORD, o da ancora più sù dov’erano andati per lavoro e durante il Natale, era facile incontrare e rivedere vecchi amici di cui avevi perso le tracce. Persone che lavoravano o studiavano fuori.

Se poi faceva freddo c’era sempre qualcuno che ogni tanto correva a spiare dalla finestra se scendeva la neve.

In ogni casa un camino acceso o un braciere di carboni ardenti per riscaldare e noi tutt’intorno seduti a raccontare, a raccontarci.

Per strada il rumore di petardi e poi scintille, tric trac e siluri che partivano in picchiata e tutti noi straordinariamente felici.

Ai primi freddi dovevamo indossare la maglia di lana, quella lana mi pungeva, oh Dio quanto ho pianto e quanta resistenza prima di metterla.

Le “cartoline” atraversavano il mondo, un presepe, un paesaggio, tanta neve e una frase, una frase semplice ma che ci faceva immaginare, a volte piangere.

Un amico lontano, un parente lontano che non sarebbe arrivato.

E anche noi a ricordarci di spedire le cartoline in tempo, con quella frase che avevamo pensato a lungo e che scrivevamo col cuore per far raggiungere il cuore.

E’ cambiato il mondo ma mi piacerebbe almeno per una volta tornare indietro, tornare indietro a quei tempi.

Mi fanno segno che non si può e allora mi rassegno e allora  non mi resta altro che ricordare e rivivere quei tempi chiusi in un ricordo, quei tempi chiusi nel ricordo degli anni più belli.

A questo punto, qualche scribacchino “pop”potrebbe chiudere il racconto con: ah…..dimenticavo, quasi dimenticavo di farvi gli auguri.

Io no.

Io non potrei mai dimenticare di inviare a tutti voi che leggete ed ai vostri cari,  i migliori auguri e prenderli dal lato migliore del mio cuore.

Auguri anche a tutti coloro a cui gli auguri mancheranno, a cui gli auguri non arriveranno.

Auguri a chi non ha più nessuno a cui farli e nassuno da cui riceverli.

A tutti quelli che hanno i “cuori distanti”, e a chi è triste per gli auguri mancanti.

A chi neanche sa che oggi è Natale, a chi non ha nulla da festeggiare.

Tanti, ma proprio tanti auguri a chi ha per tetto un cielo stellato e guarda   “ il mondo” da dietro un filo spinato.