Rubriche/Opinioni/di Luigi Mangia

Se il campo largo pensato da Enrico Letta fosse riuscito, al governo del Paese oggi non avremmo avuto la destra guidata da Giorgia Meloni. Il campo largo è fallito perché i leader delle rispettive forze non hanno avuto l’intelligenza politica di capire le necessità di allearsi, imposte dal “Rosatellum” ed inoltre non sono stati capaci di limitare le loro personalità.

Sono ormai trent’anni che la sinistra si divide perché è incapace di superare il narcisismo, una vera malattia. La sconfitta del PD, di Enrico Letta, nasce dalla debolezza della proposta politica, la quale era povera di contenuti e non si differenziava dalle altre proposte politiche.

È stato fatto in campagna elettorale un’analisi di confronto fra i diversi programmi delle forze in competizione e risultavano infatti, uguali e non si percepiva la differenza fra destra e sinistra. L’identità del PD è stata insufficiente, incapace di prefigurare una società orientata a trovare soluzione ai grandi problemi: come la crisi climatica, la transizione energetica, il lavoro, l’istruzione, la sanità, e welfare sociale non basato su sussidi e bonus.

Il peccato più grave è stato quello delle liste, di candidare figure  e professionisti, lontani ed estranei ai territori. Le liste sono state imposte dalle oligarchie e dai comitati di partito. In Puglia il maestro di questo modo di selezionare i candidati è stato il Presidente Michele Emiliano. Il sindaco Antonio Decaro di Bari, Presidente dell’ANCII, ha ragione quando raccomanda al PD di tornare fra la gente, di sentire e conoscere i territori. Però la strada da percorrere è quella di far cambiare pelle al PD e di non essere più il partito “ZTL” cioè delle grandi città. La crisi del PD, infatti, è profonda nelle periferie e nei piccoli paesi, dove la crisi è più forte e spegne qualunque fiducia verso la politica.