Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Avevo a mano a mano maturato una convinzione e questa convinzione mi girava e rigirava nella testa per gran parte del giorno e qualche volta anche della notte.

La tenevo per me come fosse un segreto, chiusa a doppia mandata nella  testa sperando che prima o poi sparisse.

Invece no, il tempo rafforzava la mia convinzione tanto che avevo deciso di confidarla, condividerla con qualcuno del mio giro, con i miei amici alcuni dei quali ne sapevano una più di me.

Però partiamo dall’inizio.

Non mi ero neanche per un attimo, stancato di vivere e scoprire a mano a mano le tante cose del mondo, la sua bellezza.

E neanche un attimo mi ero stancato di chiedermi “a chi si doveva così tanta generosità”, chi poteva aver disegnato un’opera d’arte così bella,   così articolata, così colorata.

Insomma uno spettacolo che solo a guardarlo sbalordisce, mentre il pensiero della sua immensità  spaventa.

La bellezza del mare, delle montagne, del cielo, i suoi fiumi, i suoi laghi, la natura e poi l’umanità, così simile, così diversa.

Un mondo così perfetto così sincronizzato nell’ universo, quel “mondo che non si è fermato mai un momento” che non ha fatto mai un attimo di ritardo.

Ed io in una osteria in fondo a un vicolo cieco poco illuminato e stretto, a tenermi stretta in testa la mia TEORIA.

Ed io a parlare di pace e di guerra, a spiegare di artiglieria e di strategia, in un discorso che non finiva più, interrotto soltanto da qualche sbadiglio, quando mi andava bene, o qualche rutto che mi spostava un po’ avanti o un po’ indietro a secondo da dove proveniva.

Era nel frattempo scoppiata la guerra, la guerra in Ucrania, e noi abbandonato ogni discorso sul virus, parlavamo solo di Russia, di Cina, di America e di Europa.

Qualcuno sosteneva che Russia, Cina e America, concordavano a turno  chi doveva invadere qualche Paese, quella volta era toccato alla Russia, poi forse toccava alla Cina, ma già le potenze erano tutte d’accordo, nel condannare ognuno l’invasione dell’altro  e giustificare la propria.

Strano mondo insomma. E tra un bicchiere di vino e un biccherino, parlavamo di geo-politica mischiando Stati e carri armati.

Ognuno si impegnava a fare o dare qualcosa ai Paesi in difficoltà, chi mandava del denaro, chi dei viveri e chi degli indumenti e tutti erano d’accordo su una cosa che chiudeva ogni discorso: non c’è, né mai ci sarà una guerra giusta.

Dalla radiolina accesa in quell’osteria, seguivamo le notizie e sentivamo con le lacrime agli occhi il rumore dei bombardamenti e poi a seguire la propaganda di tiranni e comparse.

Insomma il mondo cadeva a pezzi e noi da dentro quell’osteria poco illuminata, non potevamo fare nulla, non eravamo neanche “arruolabili” per via dell’età.

E poi qualcuno parlava anche di smanie e manie di potere, di tic ed ossessioni che toccavano le responsabilità più alte, toccavano chi aveva in mano il destino del mondo.

Era il momento, era il momento di condividere la mia “considerazione” che nel frattempo era diventata una quasi certezza.

E allora poggiai il bicchiere e partii: “ amici, questo mondo, questo spettacolo che ci sbalordisce ogni giorno con i suoi colori, con ogni alba e ogni tramonto belli da togliere il fiato e poi con la bellezza dell’universo così immenso da sorprendere anche Dio, lasciarlo senza parole, con la “notte che insegue sempre il giorno”, questo mondo così perfetto – mi fermai un attimo prima del finale del discorso, poi ricominciai – questo mondo così perfetto, finirà per mano di uno sciocco. O di un matto”.

Gli amici rimasero muti per come il mondo fosse così bello e così fragile, per come un “mondo meraviglioso” poteva finire in un modo così stupido.

Qualche tempo dopo l’osteria non c’era più, in giro nessuno.

Era rimasto solo Dio che svegliatosi di buon’ora, stava lì a fissare il mondo  ridotto in una palla di fuoco, coperto di cenere che un vento di tramontana che veniva da dietro, sollevava.

Raccontano fosse turbato, amareggiato, pentito per aver messo un giocattolo così bello e perfetto nelle mani dell’uomo.

C’era il vuoto, un silenzio surreale, ma quel vento di tramontana sollevando la cenere, scoprì un filo d’erba ancora verde.

Forse da quel filo d’erba, sarebbe tutto ricominciato. Forse.

Solo che io non lo posso sapere.