Tratto dal libro di Marino Giannuzzo “I Ragona”. 

Rubriche/PensieriParole/ di Marino Giannuzzo

Ringraziamo l’autore per aver consentito alla pubblicazione del suo romanzo che troverete su queste pagine ogni domenica con un nuovo episodio.

  • Gisella non aveva avuto un’infanzia gioiosa. Erminia, la madre, lei ancora piccola, si era allontanata dal marito e dal tetto coniugale per seguire un giovanotto più giovane di lei, del quale si era invaghita vedendogli eseguire alcuni esercizi di forza e di agilità in palestra, che anche lei frequentava da alcuni mesi. Il marito, uomo stimato e in vista nella città, non aveva voluto accoglierla più in casa, dopo che Giulio, il giovanotto, suo amante in fuga, l’aveva abbandonata, dopo cinque mesi di vita vissuta tra gioie e sollazzi di ogni genere, ivi compreso lo scambio di coppie in alcuni club privè, della qual cosa nessuno però era venuto a conoscenza.

Poi l’amore si era intiepidito, il denaro disponibile era cominciato a scarseggiare, i litigi montavano ogni giorno per delle stupidaggini e il filo tenue che li teneva in comunione si era spezzato. Ognuno per la sua strada. Quelle di Erminia furono molteplici, qua e là per tutta la regione prima e, successivamente, per tutta l’Italia settentrionale. Si seppe che aveva cambiato nome, assumendone uno d’arte. Poi più nulla di lei, per tanti, lunghissimi anni. Gisella, dopo circa un anno di apprensioni da parte del padre, quando ne aveva ormai quattro, fu cresciuta da zia Imma, sorella di lui, con amore e dedizione, non avendo avuto figli dal proprio matrimonio, che peraltro si andava snodando in maniera armoniosa, anche se con qualche immancabile sussulto familiare.

La ragazza crebbe senza grandi disagi economici. Completò gli studi per il diploma per l’insegnamento nelle scuole primarie e molto presto riuscì, con qualche supplenza, a metter piede nelle aule scolastiche. Grazie alla bravura e all’impegno che con caparbietà poneva nelle sue cose riuscì ad insegnare ininterrottamente, anche se sempre in modo precario. Di aspetto poteva essere ritenuta bella. Viso tendente all’ovale, di corporatura slanciata, di capelli color caramellato, più che biondo o castano. Di animo gentile.

Di intelligenza leggermente superiore alla media. I ragazzi la corteggiavano e lei aveva dedicato loro quei ritagli di tempo necessari per non restare isolata, ma senza dar loro peso eccessivo o particolare importanza. Questa era stata ed era Gisella quando aveva deciso di andare a vivere da sola in città. Sia perché economicamente era più conveniente, in quanto il denaro occorrente per i viaggi di andata e ritorno giornalieri per l’insegnamento, anche se con mezzi pubblici, equivaleva quasi le spese per l’affitto di un monolocale con angolo cottura, sia perché i tempi occorrenti per viaggiare potevano essere impiegati per la preparazione delle lezioni e per un minimo di libertà e di svago.

Comunque sentiva, all’età ormai di ventuno anni, il bisogno di badare a se stessa, pur avendo presenti le apprensioni di zia Imma e non dimenticando di andare a trovare lei e suo marito alcune domeniche per pranzare insieme. Quell’afoso pomeriggio di quella ultima domenica di agosto, rientrando dal paese, dopo avere pranzato festosamente con la famiglia della zia, con altre due coppie di sposi all’incirca della medesima età di costei e con la caciara dei complessivi tre figli delle due coppie, malgrado le insistenze a rimanere con tutta la compagnia, dopo avere salutati gli zii e i loro ospiti, mise in moto la sua piccola utilitaria e fece ritorno a Lecce, dove si era trasferita ormai da qualche tempo.

Più volte lungo il tragitto aveva ripensato ai ripetuti inviti a restare a casa degli zii per quella sera e per i giorni successivi e più volte era stata tentata di fare un’inversione di marcia e tornare nella campagna del paesino di Cutrofiano, dove dimorava la zia Imma nel periodo estivo per la villeggiatura. Ma ormai non poteva fare la figura della ragazzina indecisa, né poteva permettersi di fare ritorno, dopo le mille scuse palesate per dimostrare che doveva necessariamente rientrare a Lecce, per gli impegni improcrastinabili che aveva l’indomani.

All’improvviso ricordò che nel tardo pomeriggio aveva un mezzo impegno con Antonio, suo amico. Non aveva obblighi di alcun genere con lui, ma il ricordarsene fu per lei come ritenersi impegnata in un qualche modo. Ma, mentre ancora si chiedeva se avesse agito bene a tornare a casa o se fosse stato meglio restare a Cutrofiano, era giunta nel suo appartamentino.

Si tolse di dosso i pochi abiti e si infilò sotto la doccia, dalla quale, per quanto era stata desiderata e impostata fredda, di fatto l’acqua veniva fuori dal getto tiepida, se non calda. Asciugandosi si sentì come ripulita e, così come era venuta fuori dall’accappatoio, nuda, si distese sul letto abbastanza ampio per una persona e allargò gambe e braccia, nella speranza di non tornare a sudare e di non sentire addosso l’appiccicaticcio dell’aria umida, particolarmente presente quell’estate.

Fissava ancora il tetto della stanza quando chiuse gli occhi e si addormentò. Quando si svegliò il sole era già tramontato. Cercò la luce del pieno meriggio che l’aveva accompagnata nel sonno ma non la trovò. Nervosamente afferrò il telefonino che aveva posato sul comodino, buttò le gambe giù dal letto, schiacciò un tasto, e quando una voce le rispose pronunciò, quasi sottovoce: -scusami, mi sono addormentata… -.

-Non preoccuparti, fai con comodo. Ti aspetto al solito posto….-  fu la risposta dall’altro capo della comunicazione.

-Ok.-.

Infilò gli slip, si lavò la faccia, si pettinò, si imbellettò di corsa, si vestì e in meno di quindici minuti fu per strada, a piedi. A circa trecento metri, quasi ad angolo con un crocevia, intravide l’utilitaria verde-azzurra di Antonio. Affrettò il passo e la raggiunse, aprì lo sportello del lato del passeggero e, sopraffatta dall’affanno, si lasciò cadere sul sedile.

Antonio, Tony per lei e per gli amici, accennò ad un breve abbraccio, la baciò, mise in moto e partì. Attorno c’era ancora luce benché il sole fosse tramontato da un pezzo, ma le prime luci per la notte si erano accese per le strade, alcune insegne di negozi prendevano vita. Erano le insegne di bar e pizzerie, pub e ristoranti, cinema e discoteche. Di quei locali insomma che dovevano far divertire, a chiusura d’estate e di settimana, prima che iniziasse la nuova settimana e il nuovo mese.

Presero la via del mare, faceziando e ridendo, e, malgrado il traffico, in meno di mezz’ora furono sulla spiaggia, in mezzo ad una vegetazione spontanea e ricca, cresciuta ad altezza d’uomo. A dieci metri di distanza il mare produceva con calma lo sciabordio solito. Solo qualche piccola onda spumeggiante emanava riflessi di luce, ancora vagante nell’aria.

Ormai liberi da ogni indumento, abbracciati e aspirando la vita l’una dall’altro coi baci, rotolarono sulla sabbia, tra due cespugli. I baci divennero dolci e delicati, giunsero agli occhi, sul collo, ai lobi delle orecchie or di questa or di quello, ai capezzoli, sull’addome, fin nelle parti intime dei due. Ad un tratto Tony fu su Gisella e, senza staccare le labbra da quelle di lei, la penetrò.

Fecero entrambi forza su se stessi per far durare a lungo il piacere dell’amplesso. Poi invasi da un istinto forsennato persero il controllo e la ragazza sentì scoppiare dentro di sé tutto il fuoco di lui, che, ormai sfinito, giaceva disteso al suo fianco. Il mare continuava tranquillo a far giungere la sua serena dolce e immutata canzone serale con la risacca. Dopo un po’, passo dopo passo, abbracciati, s’avvicinarono all’acqua. Persero l’equilibrio e caddero tra le onde. Si separarono e si inseguirono nuotando.

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Marino Giannuzzo n. 02.02.1943

Salentino di Cutrofiano (LE) – Alcamese (TP) d’adozione

I RAGONA è l’ultima pubblicazione, ad oggi, dell’Autore. Un modo nuovo probabilmente di concepire il romanzo o, se volete, il racconto lungo. Dopo l’esordio con “Saro e altri racconti”, accolto favorevolmente da un vasto pubblico di lettrici e di lettori, l’Autore ci presenta questo suo nuovo lavoro. Piace il suo stile espositivo, spesso ridotto all’essenziale. Piace il suo modo di viaggiare con la fantasia, anche quando il racconto sembra fare riferimento a fatti realmente accaduti.

Maria, la madre del protagonista, Giulia la moglie, Tony, Nico, Titti, Gisella, il piccolo Armando, Piero il fotografo, fino all’avvocato Bonì, al commercialista  Stabile, a Caini e Speranzi, i due marescialli furbastri, ed altri personaggi minori, talvolta accennati: tutti concorrono a riempire il piccolo mondo lottando, giorno dopo  giorno, anche quando tutto sembra sopportato con rassegnazione. Perché spesso anche la rassegnazione  fa parte della lotta per la vita, sperando nel domani migliore.