Rubriche/PensieriParole/di Piero D?Errico

Una vecchia porta di legno che aveva ormai perso completamente il colore, la parte superore in vetri per far entrare la luce, per guardare fuori, vedere chi veniva, chi passava, chi bussava.

Vedere se c’era il sole o pioveva.

Dietro quella porta due sedie, una per mia nonna, una per mia zia che viveva con lei e che a causa d’una malattia avuta da piccola, era rimasta irrimediabilmente incapace di intendere.

Aveva la mania di lavorare ai “ferri” e con lo stesso filo di lana che aveva da chissà quanti anni, faceva pezzi lunghissimi, delle opere d’arte, con tanti colori e con tanti nodi.

Poi arrivava un giorno e la trovavi intenta a disfare tutto, a riaggomitolare tutto quel filo per poi ricominciare.

Era quello il suo lavoro da quando poggiava i piedi a terra a quando andava a letto a dormire.

Le chiedevo scherzosamente quando la vedevo intenta al lavoro, quando sarebbe stato pronto il mio “golf” e lei mi prendeva le misure di spalla e di manica e poi a modo suo mi diceva: domani.

Si può dire che la sua vita finì quando morì la nonna, il fatto di dover stare un po’ a casa di ogni sorella, a giro, anche di quelle  che lei senza motivo non preferiva,  la faceva intristire e ti accorgevi che in quei giorni metteva da parte i “ferri”.

Amava la sorella più piccola, “a Cina”, quella che era uscita di casa per ultima, quella che era stata  più a lungo in famiglia con lei.

Mia madre era morta già da un pezzo.

Finì in un “ospizio” dove lentamente si spense.

Dicevo, tutto il pomeriggio erano sedute dietro i vetri di quella porta che dava sulla strada a guardare, osservare, pensare, tra “comari” che passavano a trovarla per chiacchierare un po’, per raccontare, per compagnia.

Quando entravi in casa della nonna, sulla sinistra c’era una credenza piena zeppa di bicchieri e bicchierini, piatti e piattini qualche bottiglia di anice o di vermouth.

Sotto nella parte chiusa, trovavi tante provviste, legumi, friselle, tante cose sottaceto e sottolio, fichi secchi e marmellate di ogni tipo e varietà.

Un tavolo al centro pronto ad allungarsi in occasione delle feste quando intorno a quel tavolo organizzavamo lunghe tavolate e tombolate.

In un angolo una “cascia” piena di coperte, lenzuola e cuscini.

Di fronte il ricordo vago di una “pettiniera”.

Dalla prima stanza, si passava alla seconda, sulla destra c’era il letto grande  spalliera in ferro, sulla sinistra un lettino nel caso dovesse servire.

Dopo il lettino un comò di chissà quanti anni e sopra il comò una bellissima Madonna in una campana di vetro alta quasi un metro, una sveglia vecchissima e poi tante altre cose, tanti altri oggetti.

Sulla destra ai piedi del lettone dove dormivano zia e nonna, un armadio chiuso davanti e con gli sportelli di lato.

Quante volte ci siamo infilati dentro per gioco.

Ancora dopo una cucina molto piccola, un caminetto e una cucina tre fornelli mezza rovinata.

Ancora dopo la cucina il bagno, una bacinella di latta su un tripiedi in ferro e a fianco una “capasa” di terracotta piena d’acqua e un boccale per riempire la bacinella.

Non mi soffermo sui dettagli, fareste fatica anche a immaginare.

Dalla cucina si usciva in un cortile, al centro la cisterna piena di acqua piovana, con “carrucola e secchio” per tirare acqua per i vari usi.

Sopra la cisterna si stagliava una pergola di uva bianca e poco distante un albero di limoni.

La casa della nonna era in via Como, in quel Rione Italia che allora stava nascendo e si stava popolando, noi abitavamo un paio di isolati più avanti.

Forse per questo andavo sempre a trovarla, aggiungevo una sedia dietro quella porta che dava sulla strada, tra nonna e zia e stavo per ore a chiacchierare di scuola, di pallone e di altro.

E lei sempre  generosa e riconoscente.

Nei giorni di festa eravamo invitati tutti nella sua casa addobbata per l’occasione a festa, in un angolo un ramo di pino con qualche pallina colorata  e qualche striscia argentata intorno.

Aveva l’amore dei vicini e c’era sempre un via vai con piattini, tegami e pietanze che si scambiavano, sapori che si regalavano, si offrivano.

E mia nonna un sorriso per tutti, e poi ancora consigli e proverbi.  

Colpa di una brutta polmonite, volò via lasciando lacrime e dolore.

Il nonno era morto da chissà quanti anni, se ben ricordo nessuno dei nipoti aveva fatto in tempo a conoscerlo.

A tutti è consentito avere “il preferito” e io non so se sono stato  il suo nipote preferito.

A volte lo pensavo, a volte lo sentivo.

Forse non era così ma a me, ancora oggi, piace almeno pensarlo.

PS.

Questo “pezzo” è dedicato a chi ha la fortuna di “vivere” i propri nonni.