Rubriche/di Piero D’Errico

Sono appena le dieci di sera, in giro poca gente, la piazza deserta, vuota, le luci dei lampioni la illuminano e le insegne dei negozi sono ancora accese.

L’orologio della piazza ha appena fatto l’ultimo rintocco dei dieci.

E’ inverno, l’aria è fresca, a tratti tagliente, mi va di fare un giro,  di stare ancora in giro, camminare, respirare.

Incontro qualche vecchio amico, qualche parola, poi buona notte.

Ricomincio la passeggiata, passo dal centro, da quella “villa” che ci ha visto crescere e invecchiare.

L’abbiamo attraversata in lungo e in largo, girato intorno, ci siamo seduti a mangiare un gelato, abbiamo poggiato i libri, scritto il nome, la classe e l’ anno su quella che era la nostra panchina.

Che bello che è andare in giro a quest’ora con un’aria fresca e  tutt’ intorno ancora bagnato dalla pioggia del pomeriggio.

Scendo in piazza, poi verso l’orologio e poi mi immergo nel centro storico.

Quanta storia tra queste vecchie mura, c’è ancora la luce accesa nelle case intorno a quella piazzetta poco illuminata.

Si sente qualche radio o qualche TV accesa, quanta storia raccontano queste stradine, quanta storia è passata da qua.

Un gruppetto di vecchietti, amici da chissà quanti anni, chiacchiera davanti all’ingresso di una vecchia osteria conservata così com’era da cent’anni.

Si capisce dai loro discorsi e da come parlano che forse hanno qualche bicchiere di troppo e che non è detto che troveranno la strada di casa.

Qualche luce spenta, qualche tratto di strada sconnesso ma la bellezza è anche questa, sono i segni del tempo le tracce che lascia nel passare.

Passo davanti a case che conosco bene, ci sono stato da ragazzo per trovare un amico, un compagno di scuola, ci sono vecchie insegne, vecchi portoni, vecchi mattoni.

Si sente intorno l’odore di cucina, di basilico e  di cipolla, si sente l’odore del tempo, mi imbatto in vecchie stradine che non conosco oppure ho dimenticato e mi sembra tutto straordinariamente  stupendo.

Poi torno a casa, a volte si ha la ricchezza di luoghi che stanno a pochi passi da casa ma non sai, non conosci.

Arrivo a casa che si è fatto tardi, sarei tornato da lì a breve a “ritrovare “ quei luoghi, impararne nuovi e spiegarli a mio figlio.

Spiegarli dove prima c’era la bottega dello stagnino, quella del calzolaio, il fruttarolo, il sarto, l’ osteria, il posto dove si metteva ogni giorno un signore per “mulare le forbici e i coltelli”, dove abitava lo spazzacamino o la casa del signore che passava tutti i pomeriggi col carretto a vendere il ghiaccio e poi quella stalla dove si ferravano i cavalli.   

Sarei tornato a ritrovare quei luoghi a passeggiare in quei vicoli dove si sente solo l’eco del propri passi, dove si sente ancora il profumo di cucina.

Sarei tornato lì, in quel vico dove stavo ore a guardare i francobolli esposti in vetrina,  sarei tornato lì  dove il giorno finisce sempre un po’ prima.