Rubriche/Pensieri/Parole/di Piero D’Errico.

Il tempo della “spensieratezza” era solo un lontano ricordo, da lì a breve, gli anni sarebbero “rotolati” ma avrebbero avuto sempre la loro bellezza, una bellezza diversa che di solito si incrocia con preoccupazioni e rinunce.

La vita cambia e ti cambia. Passata la gioventù, tutto diventa più monotono e a volte può capitare che la monotonia si trasformi in noia, quella “maledetta noia” che  hai  cantato sino a qualche tempo prima, senza conoscerla.

Solite cose, ogni benedetto giorno copia del giorno prima e copia del giorno dopo.

“Si esce poco la sera compreso quando è festa” pensi più agli altri che a te, sei comunque felice se nel cercare di migliorare la vita di chi resterà dopo di te, peggiori la tua.

Avverti la difficoltà di coniugare tempi e ruoli e riesci a farli bene oppure a farli male.

E intanto i giorni passano e non puoi fare a meno di constatare la “cattiveria del tempo” che non si ferma, ti ruba gli anni e ti trasforma.

“La cattiveria del tempo” che ti fa diventare prima importante e poi inutile.

Lo fa in silenzio, nessun rumore, solo i ritmi che dividono la luce dal buio.

Il “pallone” un lontano ricordo, le lunghe passeggiate tra l’Avana, Malè, Bankok e Stoccolma anche.

Qualche ciuffo bianco comincia a comparire.

E intanto scrivi, racconti e inventi, lasci tracce tutt’intorno.

Poi, forse non hai più nulla da dire o forse hai già detto tutto o forse sei stanco di scrivere.

Posi la penna e ti riposi.

E’ un pomeriggio di mezza estate, sei seduto all’ombra di un vecchio “fico” cresciuto nel giardino del vicino e che ha resistito al tempo e alle mode.  Mi riconosco, sono io, sono proprio io.

Senza volerlo “schiaccio un pisolino”.

Mi sveglia il rumore di un vetro andato in frantumi e un bimbo che corre via veloce come il vento con il pallone sotto il braccio

e sparisce nei vicoli di quel quartiere che conosce a memoria.

Intanto alcuni passanti provvedono ad accostare i vetri rotti e sparsi sul marciapiede, in un angolo della strada.

E la vecchietta che ci abita nel frattempo si affaccia spaventata chiedendo in giro : chi ha sparato ? Chi ha tentato di uccidermi ? – Nessuno – le rispose qualcuno – si è solo rotto il vetro per il troppo caldo -.

-Ah…vabbè – fece la vecchietta un po’ tranquillizzata.

Quella finestra restò a lungo così, poi all’inizio dell’inverno passando, vidi la vecchietta seduta dietro la finestra riparata.

Ero seduto al solito posto, all’ombra di quel solito “fico” che ancora resisteva al tempo e alle mode, quando arrivò come un uragano quel solito ragazzo, 12/13 anni, sempre col pallone tra i piedi. Me lo aspettavo.

Quel pallone andò a finire sulla mia “paglia”, la fece prima volare e poi rotolare. Si fermò solo quando andò a finire in una pozzanghera d’acqua rimasta dal temporale del giorno prima.

Il bambino  corse veloce a raccoglierla e poi passandole la mano sopra come per pulirla, la sporcò di più.

Feci finta di niente, in fondo mi somigliava, stessi occhi vispi, capelli a spazzola e stesse ginocchia sbucciate.

-Fa niente- gli dissi – ho un’altra uguale.

L’inverno con il suo freddo ci chiuse in casa, e quello fu uno dei più freddi degli ultimi anni.

Spensi le candeline del mio compleanno che c’erano proprio tutti, la famiglia al completo e vecchi e nuovi amici.

Fortunatamente non fu l’ultimo ma non furono neanche molti quelli che restarono.

Ero stato sempre contrario, ma quella sera volli fare un breve discorso: “ io non so se tra cento o mille anni ci incontreremo nuovamente, se ci sono altri mondi o altre vite.

In questa mi sono trovato benissimo e se mai qualcuno mi chiedesse di ripeterla, io sarei pronto.

E’ stata bellissina e anche quando lo è stata meno,  sono sempre riuscito a trovare  i suoi lati migliori. 

Sarei  felice di poter stare ancora con tutti voi che fate parte della mia vita”.

Furono applausi, furono baci ed abbracci.

Eravamo su un prato verde tra mille luci e palloncini, e lui, quella piccola peste alta poco più del tavolo, con la faccia sporca di crema e cioccolato, era lì in fondo ad applaudire più degli altri.

-Auguri nonno Piero- mi gridò.

Ero stato una roccia sino a quel momento ma proprio allora mi emozionai, forse troppo.

Sentii una mano stringere la mia, riaprii gli occhi ed era lui che mi aveva preso per mano e col viso in su mi guardava.

Gli feci un sorriso, sì, un bel sorriso. Che altro potevo fare ?

E lui sorrise con me. (Continua)