Tratto dal libro di Marino Giannuzzo “I Ragona”. 

Rubriche/PensieriParole/ di Marino Giannuzzo 

Ringraziamo l’autore per aver consentito alla pubblicazione del suo romanzo su queste pagine. 

Festa

Già due anni erano trascorsi da quando Gisella aveva iniziato ad insegnare nella provincia di Lecce. Le classi disponibili nel capoluogo erano state scelte da insegnanti più anziani di lei nell’insegnamento e lei aveva dovuto accontentarsi di scegliere in provincia. Tra le classi disponibili, a cui lei aveva diritto di scegliere, vi erano tre a Collepasso e due a Cutrofiano, suo paese di nascita. La distanza dal capoluogo era quasi la stessa ma la considerazione che a Cutrofiano era nata, che a Cutrofiano viveva sua zia Imma con la famiglia e suo padre con la nuova compagna, le avevano dato motivo di scegliere una classe al primo anno della scuola primaria a Cutrofiano, in attesa di potersi trasferire per l’insegnamento a Lecce, appena fosse stato possibile. Raramente restava a dormire presso la zia Imma, ma di solito tornava in città dove ormai da anni conviveva con Tony. Tony era preso dal lavoro. L’impresa la sentiva sua. Francesco aveva fatto decidere a lui la somma che gli spettava come stipendio ed aveva aggiunto di suo trecento euro alla somma indicata da lui. Gisella talvolta gli ricordava che, a tempo perso, bisognava pure pensare a formare una famiglia che si chiamasse famiglia, con un regolare matrimonio e con qualche bambino per rallegrarla. Tony da parte sua rispondeva che appena le avessero assegnato una classe per l’insegnamento in città avrebbero provveduto per tutto.

E Gisella metteva il broncio per qualche mezza giornata, non soddisfatta delle risposte evasive di lui. Per fortuna tutto era destinato ad essere dimenticato appena Tony rientrando la abbracciava e la baciava prendendola bonariamente in giro per la sua momentanea musoneria. Anche Giulia durante la gravidanza aveva avuto degli alti e bassi nell’umore, ma tra i preparativi per una festevole accoglienza del nascituro, le premure della madre di lei e quelle, non ultime, della madre di Francesco, il parto era avvenuto in modo ottimale tra la felicità di Francesco e di Giulia e la gioia di tutti coloro che facevano loro corolla. E fu proprio questa la sensazione che ebbero i due novelli genitori: insieme con il bambino si sentivano al centro di un fiore mentre nonni e zii attorno facevano da corolla. I primi mesi Giulia fu piena di apprensioni, particolarmente la notte, per non fare mancare al bambino il latte, che si rivelò abbondante dal suo seno, e con la preoccupazione che il piccolo potesse restare schiacciato sotto il suo peso o quello del marito durante il sonno, poiché talvolta, invece di porlo direttamente nella culla, si beavano di contemplarlo tra di loro nel letto matrimoniale e dove irresponsabili e incoscienti, come era solita dire Giulia, talvolta si addormentavano senza provvedere al trasloco del piccolo.

Ma sotto quest’ultimo aspetto si dimostrava più ansioso Francesco, anche se meno efficace. Durante il giorno egli correva da un angolo all’altro della città e della provincia, ma appena riusciva a liberarsi delle miriadi di incombenze rientrava a casa, dove finalmente riusciva a dimenticare affanni e preoccupazioni di ogni tipo, anche quelle del lavoro, nei primi mesi. La vita, nella sua pienezza e nel suo valore, la trovava lì, quando aveva tra le braccia il suo piccolo Armando, che lo guardava incuriosito e movendo la piccola bocca di ciliegia ad un sorriso. Giulia avrebbe voluto dargli il nome di Salvo, come il padre di Francesco, ma il marito si oppose energicamente, in quanto di quel padre nell’aria vi era solo il nome, senza merito e senza infamia, concludeva. Si era invece prodigato perché al bambino fosse dato il nome di Armando, nome che era del padre di lei, il quale sarebbe stato il nonno presente nelle varie fasi della crescita del bambino. Egli sentiva che lui e Giulia avevano dei debiti morali nei suoi confronti, oltre che economici. Di quelli economici forse si poteva non tenere conto, ma di quelli morali non se ne poteva fare a meno e il piccolo ebbe nome Armando. Mille progetti per lui da parte di Giulia e Francesco crescevano insieme col peso e con l’età, giorno dopo giorno, ma talvolta si ritrovavano marito e moglie a fantasticare in modo veramente fanciullesco con mille dubbi, milioni di “se” e di “ma” e con una infinità di punti interrogativi, tutti privi di una ragionevole risposta, come certamente era avvenuto per loro, ognuno secondo le proprie condizioni familiari, forse fin dal momento in cui erano stati concepiti.

Epilogo

Dopo molti anni, insieme con la mia compagna, abbiamo incontrato Francesco e Giulia, un po’ più rotondetti fisicamente da come li avevo conosciuti in precedenza, ma sempre di spirito vivace entrambi. Furono contenti nel rivedermi, almeno quanto lo ero io. Ci abbracciammo con calore. Presentai mia moglie, la quale notai che arrossiva un po’ mentre si schermiva per i complimenti che le venivano rivolti per la sua bellezza e la sua eleganza. Ci riferirono che la vita era stata generosa con loro. Armando era al secondo anno della facoltà di Ingegneria edile, per la gioia del padre, ma principalmente per sua libera scelta, mentre Alessio, il secondogenito, era all’ultimo anno del Liceo scientifico, intenzionato a scegliere la facoltà di Medicina, l’anno successivo, come tutto lasciava presagire, dato l’impegno che poneva negli studi. Riferirono anche di Tony e Gisella, impegnati ognuno nelle attività del passato, con la variante che ormai da diciotto anni Gisella insegnava a Lecce, dove avevano continuato a vivere in una villetta di loro proprietà con due figli, una femmina di nome Vanessa, ormai signorinella di diciassette anni, e un maschio di quindici, Fulvio, anche loro impegnati negli studi.

Alla mia richiesta di notizie su Nico e Titti riferirono che anche loro avevano formato ciascuno la propria famigliola, con due figli maschi Nico e un maschio e una femmina Titti. Spesso si trovavano tutti riuniti da mamma Maria, ormai avanti negli anni, la quale, scherzosamente infastidita dalla caciara dei ragazzi, talvolta esclamava: -ma chi vi ha portati tutti qui?- E tutti in coro le rispondevano: -la colpa è tua! E chi è causa del suo mal pianga se stesso!- Naturalmente si concludeva sempre con una fragorosa e benefica risata. Ognuno viveva in armonia col proprio compagno o compagna e con i figli, con gli alti e i bassi di ogni genere, come avviene per i periodi dell’anno con le sue stagioni, alcune piovose, fredde e noiose, altre asciutte, calde e scoppiettanti di fiori, come sanno tutti coloro che hanno famiglia.

Alcamo, 24.04.2018 ore 18,00.

FINE