Tratto dal libro di Marino Giannuzzo “I Ragona”. 

Rubriche/PensieriParole/ di Marino Giannuzzo 

Ringraziamo l’autore per aver consentito alla pubblicazione del suo romanzo che troverete su queste pagine ogni domenica con un nuovo episodio.

L’attesa

Malgrado le rassicurazioni dell’avvocato Bonì gli eventi precipitarono. Francesco, benché fosse certo della propria innocenza, si era visto costretto a farsi assistere da un legale. Era stato necessario nominare uno di sua fiducia altrimenti gli sarebbe stato nominato uno d’ufficio, sempre a sue spese. L’avvocato già al primo colloquio avuto con lui lo aveva rassicurato che nel giro di quindici giorni, un mese al massimo, lo avrebbe tirato fuori dal carcere. La moglie era andata a trovarlo due volte e l’unica cosa che era nelle sue capacità era piangere e lamentarsi della vita che si stava dimostrando crudele nei loro confronti, tanto che il marito doveva dimostrarsi forte dinanzi a lei ed esserle di supporto per non farla cadere in depressione. Anche Tony era andato a trovarlo una volta. Gli aveva portato notizie dei cantieri e il tutto sembrava viaggiare, anche se non a gonfie vele. Tuttavia Francesco gli aveva dato delle direttive di come muoversi, di come provvedere agli incassi e ai pagamenti. Di curare particolarmente il pagamento dei salari agli operai. Intanto il mese a cui aveva fatto riferimento l’avvocato Bonì era passato e stava per trascorrere definitivamente anche il secondo, ma speranze all’orizzonte non se ne scorgevano.

Anzi durante l’ultimo colloquio l’avvocato aveva accennato a qualche complicazione a causa di quel cadavere che era stato rinvenuto davanti a casa sua. Tony ultimamente gli aveva detto che qualche committente dei lavori con alcune scuse aveva rinviato i pagamenti e che, se l’andazzo fosse continuato, ben presto neppure gli operai potevano essere pagati. La moglie dovette fare ricorso al sostegno economico dei suoi, circostanza che in Francesco aveva prodotto del fastidio, più dell’arresto. Ma così dovevano andare le cose, si diceva, disteso sul materasso con la faccia rivolta al muro e con gli occhi chiusi. Evitava di guardarsi allo specchio per non avere compassione di sé. E i giorni passavano… E i mesi pure. Ben sette ne aveva contati. Il sostituto Procuratore della Repubblica, all’interrogatorio, avvenuto pochi giorni dopo il fermo, aveva convalidato l’arresto. L’avvocato Bonì riferiva che i ritardi erano causati da quel maledetto omicidio di Piero, sul quale continuavano le indagini. Una volta il Ragona gli chiese all’improvviso: -avvocato, ma non crede anche lei che sia qualcuno incaricato per le indagini a creare i problemi?

-Non credo… sono persone corrette… poi non si sa mai…- disse sottovoce, stringendosi nelle spalle e allargando le braccia. Intanto al quinto mese di detenzione i cantieri si erano fermati. I committenti dei lavori non avevano più versato denaro, i fornitori non facevano più credito, pretendendo i pagamenti anticipati o, qualche volta, alla consegna, agli operai non si poteva garantire la paga settimanale, essendo venuti meno gli introiti. Anzi qualcuno tra i più facinorosi aveva minacciato uno sciopero, ma la maggior parte non aveva accettato questa soluzione e uno dopo l’altro avevano annunciato di dovere rinunciare a lavorare per la ditta Ragona perché a casa c’erano mogli e figli che attendevano quell’unica risorsa per tirare avanti. Così erano trascorsi i mesi. Anzi si era già ad un anno e sei mesi, diciotto mesi tondi tondi, e del processo neppure l’ombra. Si era sempre in attesa di giudizio, gli dicevano i compagni durante l’ora d’aria in cortile. E così gli confermava qualche secondino con aria di compassione sincera. Intanto al quattordicesimo mese, trascorso in attesa di giudizio, gli era stato notificato un provvedimento per la dichiarazione di fallimento. Fu allora che si rese conto che tutto andava a rotoli. Fu l’ultimo colpo. Poi l’apatia totale. La moglie, su suo suggerimento, ritornò a convivere con i genitori, benché l’immobile dove avevano abitato fosse intestato a lei, in regime di separazione legale dei beni, e quindi non poteva essere intaccato dal fallimento.

Tony aveva raggiunto Gisella a Chivasso dove lei finalmente aveva avuto la cattedra per l’insegnamento a tempo indeterminato. Egli stesso, grazie all’esperienza maturata presso i cantieri del fratello, aveva trovato quasi subito l’impiego. Ma di comune accordo giunsero alla conclusione che per il momento non si poteva programmare il matrimonio, come era nelle previsioni prima dell’arresto di Francesco. Non era certamente un problema di natura economica, ma sarebbe stato un affronto imperdonabile da parte di Francesco e di Giulia. Quando si sarebbero calmate le acque si sarebbe affrontato il problema, se di problema poteva parlarsi. D’altra parte il matrimonio o la convivenza, che da due anni già praticavano, non comportava alcuna differenza per loro. Nulla sarebbe cambiato. Probabilmente un po’ di scena e qualche spesa inutile in più. L’importante, si dissero una sera abbracciandosi dopo che si erano messi a letto, è amarsi, amarsi fino a dare la vita uno per l’altra e viceversa…

Giulia

Dopo l’arresto del marito Giulia aveva avuto qualche momento di scoramento, ma col trascorrere dei giorni e dei mesi si era ripresa. Aveva continuato a svolgere il suo lavoro di cassiera presso una banca della città, un paio di volte durante il mese andava a colloquio con Francesco, ma malgrado gli incoraggiamenti di lui, lei andava via sempre più piena di sconforto. Capiva perfettamente che le parole del marito miravano soltanto a non farla cadere in depressione, ma che anche lui non si illudeva. Quella maledetta storia, peraltro incomprensibile e senza un nesso logico, non sarebbe finita così presto come l’avvocato Bonì si sforzava di fare intendere, ma le sue promesse e le sue capacità avevano create troppe illusioni e molte disillusioni ne erano state la conseguenza. Quella domenica mattina, verso la metà di aprile, dopo avere assistito alla messa, si avviò verso l’abitazione della suocera. Raramente, da quando era successo quel che era successo, era andata a trovarla. Quella mattina, senza alcuna premeditazione e senza uno scopo ben preciso, si diresse verso quella casa, che in verità non era molto vicina, ma nemmeno tanto lontana. Una bella e salutifera passeggiata.

Trovò Maria mentre rassettava la casa che, nel vederla comparire e sorpresa dalla visita inaspettata, si andava scusando per il disordine che ancora era visibile dappertutto, disordine, in verità, che consisteva nel fatto che quattro sedie erano ancora rovesciate sul tavolo per maggiore comodità nel pulire il pavimento, benché Giulia la rassicurasse dicendole di non preoccuparsi di nulla perché, d’altronde, era tutto pulito. Mentre si scambiavano questi convenevoli Maria aveva messo giù le sedie dal tavolo e, distesa una copertina ricamata su di esso, tutto risultò in perfetto ordine. Si sedettero entrambe. Si guardarono per un attimo e ognuna in silenzio comunicò la sua pena. Si strinsero entrambe nelle spalle. Poi Maria allungò una mano e delicatamente strinse la destra della nuora. Avrebbe voluto dirle un fiume di parole, ma non disse nulla. Giulia la guardava con vero affetto, come avrebbe guardato sua madre in quel momento, e soffriva nel sentirla impotente. Ad entrambe il cuore scoppiava per mille sentimenti di odio e di amore, tutti misti, alcuni diretti non sapevano contro chi, gli altri nell’unica via che entrambe ormai conoscevano bene. -Vado via- disse Giulia, tirandosi su dalla sedia con la mano della suocera che ancora stringeva la sua. -Aspetta, faccio un caffè… -No, no, lasciate stare… fate conto come se lo avessi accettato, forse in questo momento mi farebbe male…

-Come vuoi- riprese Maria. -Vieni quando vuoi, la porta è sempre aperta e tu sarai sempre la benvenuta… noi ti vogliamo bene. Giulia allargò la borsetta, prese un fazzoletto di carta, si girò di spalle e finse di soffiarsi il naso senza fare rumore ma di fatto si stava asciugando due lacrime che non era riuscita a trattenere. Ripose il fazzoletto nella borsetta, la richiuse, abbracciò la suocera e si avviò verso l’uscita di casa. -Salutatemi Titti. E Nico quando lo sentite… -Grazie. Forse dopo Pasqua viene per alcuni giorni… -Salutatemeli. Titti può venire a trovarmi, quando vuole. Per ora di tempo ne ho poco, anzi, sotto certi aspetti… ne ho tanto… -Quest’anno, lo sai, è molto impegnata. Ha gli esami di maturità… Diceva sempre così Maria. Esami di maturità. In un certo senso aveva ragione. Ma in famiglia le suggerivano che si doveva dire “esami per il conseguimento del diploma” e lei ribatteva: -così finché dico tutta la frase Titti si sarà già diplomata…- E tutti facevano una risatina. Giulia si era già allontanata e Maria la seguì con lo sguardo per alcuni minuti. Aveva un bel portamento la sua Giulia, era bella e Francesco aveva saputo scegliere. Sarebbero venuti tempi migliori per tutti. Per ora la strada si presentava ancora in salita, ma si doveva pur giungere al dosso, e poi alla discesa.

Si avvicinava ai fornelli per dare inizio alla preparazione del pranzo domenicale quando squillò il telefono. -Pronto… Nico, sei tu? -Sì, mamma. Come stai? E Titti? -Bene. Tutti bene. Tu stai bene? Dove sei? -Io sto benissimo e sono a Livorno. La nave si ferma qui per alcuni giorni. -Stai attento quando siete in alto mare. Ogni giorno la televisione dice che il mare è mosso o molto mosso un po’ qua un po’ là….stai attento… e copriti bene, ché sempre in mezzo all’acqua sei e l’umidità ti penetra le ossa… -Sì, mamma, non preoccuparti. Qua siamo tutti giovani e l’umidità non ci fa niente. E siamo ben coperti. -Tu riguardati, ché col tempo si hanno le conseguenze… -Ok. Un bacione a te e uno a Titti. Francesco quando esce? Cosa dice l’avvocato? -L’avvocato ha gli alti e i bassi, pure lui, nel dare notizie… -Perché, non svolge come si deve il suo lavoro? -Io non ci capisco nulla, ma certe volte sembra che tutto è quasi risolto, certe altre dice che ancora siamo in alto mare… -Cambiamolo se è necessario. Quel che costa costi…

-Ti sembra che gli altri sono migliori, figlio mio?… Ti voglio bene. Un bacione grosso grosso… -Pure a te, mamma… -A proposito, dimenticavo, ti saluta Giulia. È andata via proprio poco fa. -Ringraziala da parte mia e ricambio. Ciao, mamma, a risentirci. -A risentirci, Nico. Un bacione. Madre e figlio avrebbero chiacchierato per qualche minuto ancora, ma si mandarono un bacio sonoro per telefono e chiusero la telefonata. Maria era contenta. Quella domenica mattina le aveva fatto entrare in casa una bella ventata di primavera. Prima Giulia, poi la telefonata inaspettata di Nico, che stava svolgendo il servizio militare nella Marina militare, che si diceva soddisfatto di come si svolgevano le operazioni un giorno dopo l’altro. Ciò che maggiormente lo lusingava era il fatto che poteva conoscere molte città d’Italia, d’Europa e spesso anche di altri Continenti. Praticamente faceva la vita da turista continuamente, asseriva. E senza pagare un centesimo. Anzi lo pagavano. Per ora, certo, era poco il denaro che gli davano, ma se si fosse arruolato in Marina gli avrebbero dato il suo bravo stipendio. Il diploma gli sarebbe servito, come era servito a molti altri. E spesso tra i suoi ricordi tornava quello in cui Francesco e Tony avevano raccomandato alla madre di insistere affinché anche lui e Titti proseguissero gli studi fin dove volessero e fin dove fosse stato possibile.

Anche per lui erano trascorsi alcuni mesi da quando aveva prestato giuramento a Taranto. In quella circostanza nessuno dei suoi familiari aveva presenziato alla cerimonia a causa del terremoto avvenuto in famiglia con l’arresto di Francesco. Anzi era stato proprio lui, Nico, rendendosi conto della situazione, a pregare Tony di lasciar perdere, tanto non avrebbero gioito. Tanto valeva… Tutto ciò si sciorinava anche davanti agli occhi di Maria come in un film. Un film che le straziava il cuore. Poco prima di mezzogiorno rientrò anche Titti, si svestì, inforcò la sua tuta e preparò la tavola… Se non fosse stato per la presenza di Titti in casa non ci sarebbero stati né pranzi né cene tra quei muri. Per fortuna c’era Titti… Purtroppo da tempo, da troppo tempo, quei muri non ricevevano la visita e il calore di Francesco, di quella colonna portante che era stato Francesco…