Rubriche/Pensieri/Parole/di Piero D’Errico

Siamo arrivati all’ultima pagina del calendario, tra un po’ la strapperemo    e la butteremo -io, con forza- nel cestino.

E’ stato un anno sicuramente migliore del precedente, ma speriamo peggiore del prossimo.

C’è la preoccupazione di “salvare il Natale”.

Da più parti, da quando la “situazione pandemica” è cominciata nuovamente a peggiorare, è salita  forte da ogni parte la preoccupazione di “salvare il Natale”.

Il tutto, spesso visto nel legittimo senso commerciale, del lavoro che si crea, del lavoro che si mantiene, del lavoro di tante famiglie che sperano  di tirare un respiro di sollievo dopo mesi di incertezza e paura.

Avremo sì, salvato il Natale, ma solo in piccolissima parte.

Potremo dire di aver salvato il Natale, se la sofferenza della pandemia ci avrà aiutato a trovare anche il vero senso del Natale.

Solo se riusciremo a non lasciare solo nessuno, se riusciremo a non far sentire solo nessuno, solo allora potremo dire di aver “salvato il Natale”.

Nel frattempo, truppe russe sono ammassate al confine con l’Ucraina,

altre al comando di Pechino sono ammassate al confine con Taiwan ed altre ancora sono ammassate in Polonia al confine con la Bielorussia.

Nel frattempo, il mar Mediterraneo da “culla di civiltà”, è diventato un “cimitero senza croci, uno specchio d’acqua pieno di morti e di ricordi”.

E mentre Papa Francesco ha perso la voce nel gridare da Lesbo tutto il dolore di Dio per quel che succede nel mondo, non c’è nessun altro disposto a continuare, a portare avanti nei fatti il suo discorso.

Sembra non ci sia nessuno disposto ad ascoltarlo, nessuno disposto a sentire le sue parole.

E se nessuno ascolta le “parole” del Santo Padre, figuratevi quanto vale quel che io mi ostino a raccontare.