Lettere/di Nico Mauro

Vorrei fare alcune considerazioni in relazione alla partecipazione della Città di Galatina alla Bit di Milano.

E’ consuetudine che le Amministrazioni Comunali partecipino a questa manifestazione che è l’occasione per proporre al settore turistico allargato le peculiarità del territorio.

Il desiderio di valorizzare i beni materiali e immateriali di Galatina è stato una costante di tutte le Amministrazioni Comunali.  Quello che si lamentava era la mancata costruzione di un progetto identitario, coerente e di ampio respiro, che ponesse le basi per la creazione di una riconosciuta destinazione turistica.

L’Amministrazione Amante attraverso una costruttiva collaborazione con ARTIS Puglia Sviluppo (Societa’ Cooperativa Consortile Pubblico- Privata per lo Sviluppo dell’Industria dell’Ospitalità e del Turismo Allargato) partecipata dalla Regione Puglia e operante sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico, aveva elaborato, per la prima volta nella storia Amministrativa della Città, un PROGRAMMA DI SVILUPPO TURISTICO ED AZIONI DI MARKETING STRATEGICO (PAST) denominato “DESTINAZIONE CENTRO SALENTO”.

L’Amministrazione in carica ha rinnovato per tre anni, immediatamente dopo il suo insediamento, la convenzione con ARTIS per la gestione dell’infopoint turistico. Tale rinnovo (possibile ma non obbligatorio) è evidentemente un riconoscimento della qualità di ARTIS.

Sarebbe stato coerente e rispettoso del lavoro svolto, che il progetto avesse avuto un approfondimento tematico, per valorizzare le proposte seppure rivalutabili secondo la visione che una nuova Amministrazione Comunale può avere.

Ma tant’è. Alla BIT di Milano si è arrivati con una proposta fumosa di “Destinazione Galatina”, con un ridimensionamento dell’area di influenza e della rete territoriale, utile ad un progetto integrato di sviluppo turistico.

La conferenza stampa di presentazione alla BIT della nostra Città insieme a Soleto e Cavallino (territori coerenti) oltre che Oria e Salve (territori incoerenti) non ha certo contribuito a far passare un’idea chiara di costruzione di una rete intorno alla Città.

Ma in quel caso probabilmente gli interessi in gioco erano altri e la “Città policentrica”, richiamata nella campagna elettorale, ha perso un’occasione per la costruzione di una rete turistica.

Altro elemento da evidenziare è la palese volontà di non contaminare le iniziative della attuale Amministrazione con qualunque cosa possa richiamare l’attività svolta dalla Amministrazione Amante.

Galatina si è dotata di uno strumento di marketing che, se utilizzato con competenza e intelligenza, può costituire uno dei volani dello sviluppo turistico ed economico della Città.

I due marchi “GALATINA CITTA’ DEL PASTICCIOTTO®” e “PASTICCIOTTO DI GALATINA®” hanno avuto un trasversale riconoscimento, perché  hanno posto le basi per una visibilità e una crescita della città intorno all’arte dolciaria e ai prodotti tipici a marchio DE:CO.

Alla BIT 2023 non mi risulta siano stati fatti passi in avanti rispetto allo sviluppo di tale progetto. Ho ascoltato frasi di circostanza che evidenziano più l’occasione perduta che un progetto da valutare.

In ultimo vorrei soffermarmi sull’aspetto del tarantismo.

Qui l’argomento si fa molto delicato ed impone una riflessione senza alcuna difesa aprioristica delle posizioni.

L’investimento che Galatina deve e vuole compiere per fare del ”tarantismo” un volano turistico all’interno di una coerente offerta culturale, non può passare attraverso la spettacolarizzazione e la banalizzazione del “rito della guarigione”.

C’è nel “percorso umano delle tarantate” una implicazione antropologica, culturale e sociale che non può essere umiliata con una esposizione ludica nei corridoi della “Borsa internazionale del turismo”.

La mia è una considerazione che vuole solo essere una visione differente sull’utilizzo del rito della guarigione a fini di promozione turistica.

Il “tarantismo” è stato l’esito di un contesto sociale retrogrado in cui la violenza, la sopraffazione, il mancato rispetto della dignità, soprattutto della donna, erano la norma. Raccontare “la guarigione” in modo del tutto decontestualizzato, facendone un momento di spettacolo ai fini della promozione turistica è fuori luogo.  Se l’idea, come sembra emergere da alcune dichiarazioni pubbliche, è quella di spettacolarizzare la rievocazione del rito della guarigione bisognerebbe, almeno, approfondire l’argomento che investe la dignità dell’intera comunità.

Diverso è se, attraverso il rito della guarigione, si racconta la storia e la si pone a fondamento di ogni considerazione sulla violenza, sia essa fisica, morale, di genere.

Se il percorso porta verso una attualizzazione del messaggio per cui guardiamo e parliamo al mondo facendo tesoro del nostro passato, e il racconto è occasione di incontro e di crescita, allora la riproposizione del rito non si fa mero strumento di mercificazione del dolore umano, ma esempio di comunicazione per il riscatto degli oppressi. E la proposta diventa culturale con innegabili risvolti anche turistici.

In questo senso, per esempio, il progetto culturale portato avanti da Romina De Novellis nella sua Domus Artist Residency a Galatina è un progetto virtuoso, sposato dalla Amministrazione Amante e saggiamente portato avanti dalla nuova.

Riporto un virgolettato proprio della De Novellis, tratto da una intervista ad Art Tribune:

“Domus si incentra sulle dinamiche di violenza legate alle relazioni nel Mediterraneo: il Tarantismo come lotta di genere, il disseccamento degli ulivi come resistenza ambientale e la questione dei flussi migratori come fenomeno di ribellione al colonialismo. Tutti questi corpi, tarantati, ulivi, persone migranti e rifugiate, meritano di essere riascoltati e di essere ricordati nella memoria collettiva.

Attraverso il dialogo trasversale, l’incontro tra culture (a Domus si parlano tutte le lingue, ognuno parla la sua), tra conoscenze e pratiche di ricerca e di creazione, ogni anno accogliamo artisti, attivisti, ricercatori, giornalisti, e tutti insieme tentiamo di contribuire all’analisi, alla riscrittura e alla costruzione di una memoria comune ai Paesi del Bacino del Mediterraneo. Il punto di vista è quello del Sud, si parte dal Sud e si resta al Sud, per raccontare e denunciare quanto “troppe cose nel nostro Sud muoiono da sé, senza che la coscienza e la ragione ne traggano alcun merito” (Ernesto De Martino, La terra del rimorso).

Mi sembra un ottimo punto di vista che può accompagnarsi ad altre iniziative storico – artistiche per costruire un progetto originale e attrattivo, unico e sostenibile, di valorizzazione delle ragioni storiche del tarantismo e della sua attualità più della sua plastica, retorica e umiliante esibizione.

Ho voluto così esprimere un punto di vista perché il silenzio non venga scambiato per accondiscendenza e come si dice dalle nostre parti non si scambi “il fumo con l’arrosto”.