Rubriche/Opinioni/di Piero D’Errico

Caro Gino,
io comunista non “lo fui”.
Sognavo l’America e sognavo un’ Italia socialista e riformista.
Non sopportavo la doppia morale, non sopportavo quel
“centralismo democratico” che affidava ad una ristretta nomenclatura
la linea politica del PCI.

Non mi piaceva quel “contrordine compagni” che con una sorta di
automatismo, vedeva schierati su altre posizioni tutti i militanti che
avevano sino a un minuto prima, sostenuto posizioni differenti, linee
politiche diverse e che improvvisamente, come fosse la cosa più
normale e naturale di questo mondo, si trovavano a sostenere azioni
contrapposte, che si contrapponevano alle prime.
Non mi piaceva l’idea che una cosa fatta da loro, diventava diversa
dalla stessa cosa fatta da altri.

Una “cosa”, non aveva mai un significato obbiettivo, acquisiva un
significato a secondo del tempo, del vento o del momento.
Non mi piaceva la manipolazione delle masse che, anche se non
sempre, c’è stata.
Non mi piacevano quei primi segnali di populismo che servivano a
formare “le masse”.

Poi è cambiato tutto, è caduto anche il muro di Berlino.
Il PCI ha cambiato più volte nome e simbolo, ha cambiato linea politica
e attraverso dibattiti e non poca sofferenza, ha occupato uno spazio
politico più socialista, più riformista che stava a significare una
sola cosa, che “avevano torto”, o almeno che “non avevano ragione”.
Quando poi finalmente sono arrivati al “potere” nessuno si è accorto,
ma forse solo perché distratti, di alcun cambiamento.

Anzi, alcuni provvedimenti che con loro all’opposizione non sarebbero
mai passati, diventavano “provvedimenti” per il bene del Paese.
Poi neanche si sono fermati, sono cambiati ancora, hanno cominciato
la rincorsa a potere e poltrone, pure loro.
Hanno sostituito le clientele, hanno smorzato ogni “discontinuità”.
“Non ci sono più – caro Gino – i comunisti di una volta” è cambiato
il mondo e anche loro. Meno male.

Alcuni addirittura rinnegano la loro storia, altri fanno fatica a
ricordare la loro storia.
Tra tanti sbagli la sinistra attuale, resta comunque la forza politica
più responsabile, più attenta ai problemi sociali e ai bisogni della
gente.
Resta comunque la forza politica che utilizza ancora la “sezione”
per discutere, che mantiene i suoi organi elettivi, che celebra i
congressi, che fa politica.

Ed è questa la ricchezza, la differenza con tutti gli altri partiti, la
differenza che spero conservi sempre.
Caro Gino, come ti dicevo “non ci sono più i comunisti di una volta”
ma facciamo tesoro di quel che resta della sinistra, meglio se unita, e
andiamo avanti nella convinzione che c’è di peggio.

Non è un buon motivo, riconosco, a volte si fa fatica a distinguere
il peggio dal meno peggio, a volte bisogna fare finta di non capire,
a volte bisogna tapparsi il naso, a volte chiudere gli occhi.
Però: è severamente vietato perdere la speranza. Proibito.
Diciamo così.