Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Mi ritrovai alle otto e mezza di quella mattina di fine inverno ad aprire la porta “scalata” della stanza di quel Sindacato, a cui dopo poco meno di mezzo secolo ancora “appartengo”.

Erano i primi anni ’70, anni di grande fermento, di grande cambiamento.
Quando chiusi la porta alle mie spalle, la chiusi pure ai miei sogni, ai miei tanti sogni che non si erano avverati e che un po’ “raffreddavano” l’iniziare quel lavoro con gioia.

Era un lavoro, ma non quello che avevo desiderato, non quello che avevo sognato, non quello che avevo sperato di realizzare.
Erano gli anni dello stereo 8, della “radio estraibile” che ci accompagnava ovunque.

Erano gli anni di “Arancia meccanica”, dei Pink Floyd e di Dalla, ed io avevo capito che nella vita non sempre le cose vanno come vorresti, ma che ad una porta che si chiude c’è un’altra che si apre.

“Volevo volare” volevo soltanto volare. Scartoffie e macchine da scrivere non facevano per me.
Volevo una vita “spericolata” tra cielo e terra, una vita esagerata, una vita movimentata, non mi vedevo chiuso in un ufficio tra richieste e pratiche da evadere.

Per questo, quando quella mattina entrai in quell’ufficio, non mi trovai inizialmente a mio agio ed il pensiero mi “volava” altrove.
Continuai a lavorare in quell’ufficio e continuai a guardare in cielo tutte le volte che sentivo il rombo di un aereo sfrecciare sopra la mia testa.
Ci volle qualche giorno, ma me ne feci una ragione e cominciai ad apprezzare e amare quel che facevo.

Da quella porta “scalata” di quell’ufficio, lasciata aperta troppo spesso, si sono velocemente infilati una “quantità di anni” che a pensarci mi sembra quasi impossibile.

Colpa di quella porta “scalata” che avrei dovuto chiudere bene, ma ormai gli anni sono entrati, non si possono più far andare via.

Tante cose sono cambiate, ma quella passione no, quella passione è rimasta.
Volevo un “aereo” e mi ero trovato con una “Bic nero di china punta fine” a cancellare, a scrivere a correggere e sentire intorno la voce di mia madre, quando le telefonavo per informarla dei risultati negativi al concorso per “piloti militari”, e lei con voce che non riusciva a controllare “meno male”.
Io non so cosa c’è dopo, ma se per caso mi capitasse di vivere un’altra vita, io penso RIPROVEREI ancora.

Me lo fa capire il cuore. “Volevo volare” e mia madre farmi ancora studiare.
Sognava per me una vita tranquilla, una vita in cui non devi ogni giorno fare i conti con il pericolo.
Ha avuto ragione lei. Come sempre.
Ed io immensamente felice per questo.