Tratto dal libro di Marino Giannuzzo “I Ragona”. 

Rubriche/PensieriParole/ di Marino Giannuzzo

Ringraziamo l’autore per aver consentito alla pubblicazione del suo romanzo che troverete su queste pagine ogni domenica con un nuovo episodio.

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Piero Giannetti

Piero da alcuni anni era separato dalla moglie, anzi, di comune accordo, avevano ottenuto il divorzio. Conviveva con una nuova compagna, era nato un bambino: insomma aveva messo su nuovamente famiglia e si direbbe che era relativamente felice se non fosse per certi momenti in cui sentiva mancarsi il terreno sotto i piedi. Economicamente purtroppo le cose non erano andate sempre bene. C’erano stati periodi in cui si sarebbe potuto permettere di essere generoso e lo era stato: un po’ meno con se stesso ma molto, anzi moltissimo con Monia, la nuova compagna, che col passare degli anni aveva incominciato a perdere un po’ del suo splendore di giovane compagna. Il suo studio di fotografo non veniva più frequentato come una volta. I clienti avevano preferito servirsi presso lo studio di Delia, la sua ex moglie, distante dal suo poco più di trecento metri, sullo stesso viale Dalmazia. Da Delia trovavano migliore accoglienza, migliore qualità del lavoro e del prodotto, anche se più costosi, e un sorriso da parte della titolare e del personale dipendente.

Eppure era stato lui a creare lo studio di Delia, la quale però in quello studio successivamente aveva profuso tutte le sue energie: dapprima per apprendere il mestiere del marito, poi per ampliare la piccola azienda, quando si era separata dal marito, poi per far prendere quota al piccolo laboratorio che egli spontaneamente le aveva lasciato, in un trasporto di generosità, diceva lui, verso le figlie, ancora in tenera età, che erano state affidate alla madre, dopo la separazione consensuale dei coniugi. Piero allora aveva avuto un periodo di sconforto e di smarrimento. Si era allontanato da Lecce. Aveva girovagato qua e là per l’Italia settentrionale. Infine aveva preso fissa dimora, almeno per alcuni anni, in un paesino della Svizzera, vicino a Berna.

Trascorreva le giornate nei giardini pubblici, scattando foto ai bambini accompagnati dalle madri o dai nonni. Alcune sere prestava i suoi servigi come cameriere presso un ristorante e, quando era richiesto, distribuiva volantini pubblicitari davanti ai cinema o in altri luoghi affollati. Una sera del mese di dicembre, quando era impossibile mettere il naso fuori dalla pensione, pensando e ripensando davanti al suo panino ancora avvolto nella carta del salumiere e alla bottiglia di birra fredda naturale, decise. Decise che quel modo di vivere non era per lui. Sarebbe tornato a Lecce. Avrebbe ricominciato. Se era riuscito a mettere in piedi una prima volta uno studio fotografico con poca esperienza non doveva essere poi tanto difficile creare un altro, ora che di esperienza ne aveva acquisita negli anni.

Tornò a Lecce l’antivigilia di Natale. La notte ci fu la neve, rara nella zona. Glielo annunciò la madre portandogli il caffè a letto, come ai vecchi tempi, prima che prendesse moglie. L’ultimo dell’anno fu triste, tutta la giornata, fino alla sera. Poi sul tardi, dopo cena, alcuni vecchi amici lo trascinarono in discoteca. Non si divertì. Ma tornò a casa con spirito leggero, quasi felice. Monia in qualche modo lo aveva stregato.

Per tutto il tempo che avevano trascorso insieme, ora ballando, ora chiacchierando seduti sui gradini di una scaletta interna, egli non aveva pensato neppure per un momento al passato. Eppure non avevano detto nulla di speciale. Si sarebbe detto che avessero discusso di cose banali, futili, senza una ragione particolare. Ma erano stati entrambi felici di scambiarsi quelle chiacchiere. Si promisero di risentirsi. Si risentirono. Lei in seguito gli ricordò sempre che era stato lui a chiamarla al telefono l’indomani, per tempo, per augurarle il buon anno. Otto mesi dopo cominciarono a convivere. Monia, dopo alcuni giorni, risultò incinta di un mese e mezzo circa. Piero avrebbe voluto restare ancora per qualche tempo libero da preoccupazioni, in attesa, ma poi se ne fece una ragione e disse che era meglio così.

Il bambino fu chiamato Alessio. Alla nascita gli fu fatta un’accoglienza calorosa. Ciò che Piero non aveva fatto per le due bambine nate da Delia, l’ex moglie, volle fare per il suo maschietto. Alle qualità di Monia aggiunse anche il merito di avergli dato finalmente un figlio maschio, da lui sempre desiderato, se non palesemente, almeno nel segreto del cuore. Il lavoro aveva ricominciato a dargli quelle soddisfazioni che da anni non provava più. Economicamente non si lamentava. Anzi, avendo presente che mensilmente contribuiva al mantenimento di Clara e di Giada, le figlie avute da Delia, a lei affidate, non poteva né doveva lamentarsi.

Ma quella mattina quando si avvicinò alla saracinesca di ingresso dello studio fotografico ebbe la sensazione che qualcosa di nuovo era successo, e di nuovo non piacevole. Le serrature erano state manomesse, le chiavi non rispondevano alla funzione per cui erano state stampate e il motorino elettrico che doveva tirare su la saracinesca non rispondeva al comando. La tirò su a mano e il vuoto si presentò dinanzi a lui. Macchine fotografiche, computer e stampanti erano scomparsi. Lampade ed attrezzatura varia, necessarie per svolgere l’attività, non erano più al loro posto. Gli avevano portato via tutto. Solo delle foto sparse qua e là per lo studio e qualche album di poco valore commerciale. Non pianse perché da anni aveva perso l’abitudine e le lacrime, ma la bile gli faceva digrignare i denti, stringere i pugni, gli faceva fare mille congetture e si chiedeva in silenzio il perché.

Fece a ritroso il percorso della sua vita degli ultimi tempi, si spinse anche nel passato remoto, ma non trovò alcun motivo che desse un senso allo spettacolo che aveva dinanzi. Anzi poteva dire che se qualche torto c’era stato era stato sempre ai suoi danni ed egli non aveva usato mai l’arma della vendetta. Forse gelosie di mestiere o forse una pura e semplice operazione di ladrocinio. Il problema che in quel momento lo ossessionava era il fatto che due giorni dopo aveva un servizio fotografico per un matrimonio e in quel momento nessuna idea veniva in suo soccorso.

Richiuse lo studio con la saracinesca abbassata così come l’aveva trovata, telefonò a Monia, la compagna, s’infilò in macchina e si recò presso la stazione dei carabinieri per la denuncia del furto. Purtroppo non era coperto da assicurazione e di lavoro negli ultimi tempi ce n’era stato poco. Quando ebbe finito s’allontanò dalla città dirigendosi verso la campagna. Trovò uno spiazzo che fiancheggiava la strada, vi si fermò, spense il motore dell’auto e cominciò a raccogliere qualche idea.