Il tempo che passa non torna, le cose sono diverse, sono diversi gli occhi che le guardano.

Rubriche/PensieriParole/ di Piero D’Errico

Dopo vent’anni di matrimonio dedicati ai due figli, un maschio e una femmina, entrambi di quasi vent’anni, avevano deciso di pensare per qualche giorno a se stessi, spinti soprattutto dalla insistenza dei figli.
E siccome era sempre un fissare e rimandare, fissare di nuovo e rimandare di nuovo, fu proprio il “regalo” dei figli ad inchiodarli a fare il “viaggio”.
Non potevano più tirarsi indietro.
Sarebbero tornati in posti che volevano rivedere, in posti in cui erano stati vent’anni prima, nel viaggio che concludeva il loro matrimonio.
Avrebbero rivisto quei luoghi incontaminati che gli avevano incantati.
Nell’attesa di partire, avevano tracciato lo stesso percorso, gli stessi posti, gli stessi luoghi e più volte riguardato le foto quasi ingiallite di quel primo viaggio.
Sembrò, ai loro occhi, come se in quei posti il tempo si fosse fermato, erano uguali, erano rimasti gli stessi e di nuovo rimasero incantati .
Restarono seduti sullo stesso muretto, sulla stessa panchina, presero lo stesso gelato dallo stesso bar e l’emozione prese il sopravvento. Lei sentì più volte la mano di lui stringere più forte la sua.
Fecero le stesse cose, lo stesso percorso, la stessa trattoria e tutto era rimasto lo stesso, tutto rimasto com’era in ogni suo particolare, in ogni suo dettaglio, in ogni suo sapore.
Si fermarono a lungo davanti a quella caletta di quel lago, piena di barche colorate. Avevano incredibilmente immaginato e creato, quello stesso “ambiente” che era rimasto nel loro cuore, che c’era ancora nel loro cuore, insieme all’indimenticabile commozione che gli aveva accompagnati dal ritorno in poi. Non era cambiato nulla ma niente fu più uguale.
Fu un po’ dopo che ebbero entrambi la stessa sensazione.
La sensazione che rifare il percorso non era stata una buona idea.
Le “sensazioni e le emozioni” non si ripetono mai, sono differenti, sono diverse, sono più deboli.
Appartengono al tempo, appartengono al momento, appartengono all’età. Appartengono al “ricordo” e si attraversano solo nel ricordo, ma non tornano più e se cerchi di riviverle ripercorrendo quei ricordi, non le trovi o se le trovi sono diverse, sono cambiate.
Capirono ben presto che riprovare a ripetere un qualcosa che per la sua bellezza ti ha toccato in profondità, non è mai più la stessa cosa.
Manca sempre un qualcosa e forse è meglio non sciupare quel ricordo, meglio farlo restare un ricordo speciale.
Il tempo che passa non torna, le cose sono diverse, sono diversi gli occhi che le guardano.
La preoccupazione di non spendere molto, di arrangiarsi, di accontentarsi fece loro compagnia durante quei giorni.
La convinzione che di quel viaggio avrebbero potuto fare a meno, che c erano cose più urgenti e, mai per loro, da fare gli attraversò ogni giorno.
Non seppero mai staccare il “pensiero e la preoccupazione” per i propri figli che erano già in stazione ad aspettarli al loro arrivo.
Ebbero poco da raccontare, da dire, qualche foto e qualche cartolina che nel frattempo arrivava e tutte le volte che ne parlavano, stranamente, i più bei ricordi che raccontavano erano sempre legati al viaggio fatto vent’anni prima.
Tornarono stanchi e tristi, furono tanti i “mi ricordo” furono troppi i “ti ricordi”. Il viaggio più lungo che fecero nei successivi 20 anni, fu nel vicino paese, a qualche chilometro di distanza, per andare in una pizzeria con forno a legna, dove si mangiava all’aperto, tra prati e ulivi, in quella valle sperduta tra i campi da dove la luna non voleva andarsene mai.
Quella “cappa di tristezza” era già passata, avevano capito che non si possono rivivere momenti già vissuti, istanti già vissuti. Che tutto quanto ha una luce diversa. Avevano cercato inutilmente di ritrovare gli anni più belli, ripercorrere i tempi più ribelli, ma:
erano diversi gli occhi, erano diversi gli anni, erano diversi i sogni.