Era il nostro mito, la nostra aspirazione, poi per “lui” cominciarono i problemi che “noi altri” avevamo sempre avuto ed affrontato

maschereLettere/ di Piero D’Errico

Galatina – Troppo “snob” per essere mio amico. Di sicuro non si sarà mai accorto della mia esistenza e forse, meglio così. Se mai si fosse accorto m’avrebbe guardato dall’alto in basso o ignorato completamente. Lui troppo ricco ed io troppo povero. Non sto ad elencarvi il numero di vestiti su misura che si faceva settimanalmente confezionare e che per la verità li stavano a pennello.

Era tempo di “Galles, tweed e bouclè”. E non vi starò a descrivere le macchine che lui con quel suo fare elegante e raffinato aveva a disposizione. Erano se ben ricordo, maserati o jaguar. E poi vi risparmierò anche dal raccontarvi la fila di belle donne che gli giravano intorno, incantate sicuramente da “lui” non dalla sua ricchezza.

Insomma un “mito”, scompariva e noi poveri mortali a chiederci che fine avesse fatto, poi compariva all’improvviso, magari abbronzatissimo a gennaio. Troppo ricco anche per un lavoro comune, “lui” pensava in grande, voleva un lavoro importante.

Per fare quel lavoro importante si trasferì ormai non più giovanissimo in una grande città, molto più adatta per traffici e affari. Probabilmente e per un lungo periodo gli affari andarono bene, ma molto probabilmente poi cominciarono ad andare così e così, poi sempre peggio. Non furono pochi i problemi che ebbe con la giustizia e il fisco tanto da trovarsi ad una certa età spogliato di ogni avere e fortuna.

Insomma per “lui” cominciarono i problemi che “noi altri” avevamo sempre avuto ed affrontato, cominciarono i problemi economici. Ebbi occasione di rivederlo quando con un amico comune, trovandosi sul posto, venne, sempre consigliato da quell’amico comune, a trovarmi in ufficio. Forse ricco non era più ma aveva conservato tutta la sua classe e la sua raffinatezza.

Gli presentai una domanda per la concessione di una prestazione il cui presupposto era quello di non avere alcun reddito, non avere niente. E non vi dico i ringraziamenti e la felicità quando gli furono liquidati quelli che per lui, in passato, erano solo pochi spiccioli.

Era crollato un “mito” il sogno di diventare come “lui” svanito. Mi fermai a lungo e tristemente a pensare come “lui” potesse sentirsi in quel passaggio che sicuramente non avrebbe mai immaginato. L’ho mandato alla “posta” della sua città, per richiedere una “card” per persone povere e bisognose. Gliela hanno concessa e “lui” felice, mi ha telefonato per avvertirmi.

Furono le ultime parole che mi arrivarono dritte al cuore: “Sai Piero, che mi hanno detto in posta?” 

“Cosa?”  ho detto io.

“Che ero il primo italiano a chiedere quella “card”. Prima che andassi io l’avevano chiesta solo stranieri e immigrati di ogni razza e colore” 

Poi ha aggiunto: “Mannaggia a loro, sanno più di noi”.

Fui io a chiudere il telefono, “non era caduta la linea” come gli dissi qualche giorno dopo. Avevo ancora il rombo del motore della sua macchina nelle orecchie, negli occhi le innumerevoli cravatte, i foulard, e i dolce vita. L’ho chiamato giorni fa per sapere come stava: “bene” mi risponde.

Era appena uscito da un supermercato. Poi ha aggiunto: “ho comprato da mangiare per oggi ed anche per domani. Sono fortunato“.