“Quel profumo sapeva di  festa, di casa, di famiglia”.

carteddhate-porceddhuzziLettere/ di Piero D’Errico

Galatina – Quel profumo l’avrei sentito anche stando dall’altra parte del mondo.

L’avrei riconosciuto di sicuro. 

Quel profumo di “cannella” che mia madre metteva sopra tutte quelle confetture inzuppate di miele.

Era il tocco finale, quel tocco che ti faceva guardare in faccia la festa, sentire la festa, la ricorrenza, il Natale.

Di solito festa in famiglia, oggi a casa mia domani da te.

In un angolo di ogni casa, un ramo di pino addobbato alla meglio che arrivava quasi al soffitto tra macchie d’umido sparse qua e là.

Senza TV, senza telefono.

Noi che abbiamo avuto la fortuna di vivere quel periodo, quel mondo, abbiamo anche la possibilità di  confrontarlo  al periodo attuale.

Per chi invece non l’ha vissuto o lo ha vissuto solo attraverso i nostri racconti sarà, penso, quasi impossibile immaginarlo.

Non so se sono stati migliori gli anni del mio racconto o quelli dopo, so per certo però, che era tutto più romantico, tutto più semplice, tutto più vero.

C’era poco per tutti, ma quel poco ci sembrava tanto e ci accontentavamo di quel poco. Non chiedevamo di più, sapevamo che non era possibile.

Non ricordo più se a mezzanotte si stappava lo spumante ma se ci fosse oppure no, nessuno ci faceva caso.

C’era l’allegria, i racconti, quei discorsi di vicinato, di affetto, di amore, di fatti successi, quei fatti di vita quotidiana che facevano stare, noi non ancora grandi, a bocca aperta.

Si faceva la fila per parlare, raccontare, dire qualcosa.

Insomma ogni “tavolata” era avvolta in un chiacchiericcio senza fine che dava il gusto della festa, della ricorrenza.

Parlavamo noi, era quello l’importante e tutti stavamo a sentire, capire, rispondere, nessuno era distratto, nessuno che “navigava” o guardava la TV, come oggi. Quella volta avevamo finito il vino, era rimasta appena mezza bottiglia, nessuno ci aveva fatto caso ed io ancora piccolo, pensai bene di riempire la bottiglia con l’acqua della fontana per farla piena.

La cosa mi sembrava normale, ma non fu per nulla apprezzata da mio padre.

Anzi, dopo pochi minuti, dalla vicina di fianco, arrivò il primo bottiglione, il secondo arrivò un minuto dopo dalla vicina di fronte.

C’era più amore, c’era più rispetto, c’era più famiglia.

Ricordo che allora, l’inverno faceva l’inverno e quando sentivamo le mani gelide e i nostri piedi ghiacciati, quando non vedevamo l’ora di sederci intorno alla “brascera” a riscaldarci, allora si guardava di continuo la finestra per vedere se fuori scendeva qualche fiocco di neve.

Era il nostro ultimo pensiero prima di andare a dormire, ed il primo pensiero la mattina appena  svegli.

E tante volte quel desiderio si è avverato.

Sono stati giorni di gioia sin quando è rimasto l’ultimo ciuffo d’erba imbiancato. Era tutto più “romantico” e quell’odore di cannella diffuso era il segnale che erano giorni di festa.

Sul tavolo tra barattoli di marmellata, miele e farina, non mancava mai qualche mio quaderno aperto per i compiti delle vacanze o per imparare quella poesia di Natale, che non si riusciva a ricordare mai per intera.

La recitavamo in piedi su una sedia e lo facevamo dopo che il “papà” aveva casualmente trovato la letterina nascosta sotto il suo piatto.

Poi il giro intorno al tavolo per gli auguri e soprattutto per qualche “lira” che ci veniva data.

La “befana” chiudeva tutte le feste e l’indomani mattina c’era da tornare a scuola quasi sempre con i compiti non finiti.

Succedeva sempre così, ogni giorno si rimandava all’altro e quando arrivava l’altro si rimandava all’altro ancora.

Dicevo che la festa della “befana” chiudeva tutto il periodo festivo e la tristezza per il ritorno a scuola era a stento alleviata da qualche dono che ci aveva portato scendendo dal camino.

Ed era di solito, un pallone di cuoio numero 3, una pistola a tubetti, 12 colpi, o un fucile. Nei negozi intanto si cominciava a vedere quello che diventò ben presto il regalo più desiderato, il biliardino, formato più piccolo.

E così la sera prima del ritorno a scuola, si preparava tristemente la cartella e si andava a dormire più presto  per svegliarsi senza fatica.

Intorno c’era ancora un profumo di cannella e ancora qualche dolce che si era salvato, sul tavolo.

Quel profumo di cannella lo conservo ancora, mi sa di festa, di casa, di famiglia.

Mi sa di essenziale, mi sa di gioia, mi sa di piccole cose.

Mi sa di chi non c’è più, mi sa del sorriso di chi non c’è più.