Rubriche/ParoliPensieri/di Piero D’Errico

Io non so se tra le lettere del nome c’era anche una “acca”, penso di si.
Ma con la “mutina” o senza, la storia non sarebbe cambiata.
Lei invece, aveva uno straordinario istinto materno, dove c’era lei
c’erano sempre bambini e correva sempre in aiuto di tutte le sue amiche
che nel frattempo diventavano “madri”.

Non conosco i dettagli, ma so che per uno strano scherzo del destino,
suo figlio era a Oslo, lei in Italia, in cerca di quella fortuna che sembrava
finalmente arrivata o almeno per quel che lei considerava fortuna.
In tutti quegli anni, quasi cinque, s’era quasi sempre sentita con la
“governante” cui era stato affidato il figlio dall’istituzione norvegese.
Ogni tanto parlava con il figlio, si scambiavano foto e confidenze.

Il suo nome era Cristian, per tutti Cris.
Cris conosceva la storia, nella sua cruda realtà.
Cris chiamava “mom” la governante.
Aveva finalmente tre giorni di permesso, documenti finalmente in regola,
faceva in tempo ad andare e tornare.

Tre scali, costo del biglietto altissimo, ma nessuno sarebbe riuscito a
fermarla.
In quel biglietto investiva tutti i suoi risparmi e nel frattempo cercava
frettolosamente di avvertire la governante norvegese del suo arrivo.
Riuscì a contattarla, ma era al lavoro, l’avrebbe richiamata appena finito
di lavorare.

Nel frattempo aveva sistemato su un divano, tutto quello che avrebbe
voluto con l’occasione portare, mettendo in valigia tutto quanto stava
organizzando per inviare da lì a breve con un pacco postale, aggiungendo
sempre più cose, un pupazzo, del cioccolato e tutto ciò che le veniva in
mente.

Era proprio in agenzia, quando ricevette la telefonata della governante
norvegese che a sua volta aveva avvertito l’istituzione del luogo.
Dopo pochi minuti, a biglietto appena emesso, arrivò l’ALT.
“Troppo prematuro l’incontro, troppa emozione per un bambino. La cosa
avrebbe potuto destabilizzarlo, avrebbe potuto avere effetti devastanti
sul bambino”.

Bisognava preparare bene l’incontro, piano piano, avrebbe dovuto essere
la conseguenza naturale di un percorso, non una cosa che avrebbe potuto
essere traumatica.
Lei riconobbe subito le loro ragioni.
Fece fortunatamente appena in tempo ad annullare il biglietto e poi furono
pianti, pianti, tanti pianti.

Avvertì la sorella preferita e per tutta la sera furono lacrime che non si
faceva in tempo ad asciugare.
Così fu pure quando telefonò a sua madre, in un villaggio sperduto dell’
Africa.

Il mondo le era caduto addosso, ma era giusto così, il troppo desiderio
di abbracciarlo, aveva oscurato e messo da parte le conseguenze di un
impatto emotivo, troppo forte per un bambino.
Poi le lacrime si finirono, c’era la speranza che su quel biglietto, un giorno
non lontano, avrebbe potuto scrivere la data di partenza e quella di arrivo.
O forse no, forse bisognava aspettare il loro arrivo, magari in estate e
magari farli sbalordire tra sole e mare, tra il verde e il blu.

Quei tre giorni di ferie, finirono nel dolore, avrebbe potuto tornare al
lavoro, lo avrebbe fatto volentieri.
Spero che la storia scrivi un lieto fine, spero tanto di si.
Lei ne è convinta, non vuole strappare suo figlio al suo mondo, ai suoi
affetti, ai suoi amici, a lei interessa avere la possibilità di vederlo,
sapere che sta bene, sapere che è felice.
Passare qualche giorno insieme poi salutarlo con un “ciao, a presto” anzi
“a prestissimo”.
La vita avrebbe fatto il resto, la vita avrebbe fatto la cosa giusta non tanto
per lei, ma per suo figlio.
Per il suo CRIS.