Rubriche/PensierParole/di Piero D’Errico

Non c’era un solo angolo in quella stanza molto grande, in cui non si respirava sofferenza.

Ed io lì in mezzo, parcheggiato in un angolo, tra tanta professionalità, tante premure e l’immediato inizio di una terapia, fatta di mille cose, che mi rassicurava, che mi dava speranza.

Erano passati un bel po’ di giorni ed il numero dei contagi e dei ricoveri per covid non accennava a diminuire, io però stavo meglio cominciavo a sentirmi decisamente meglio.

I medici passavano ogni tanto, ma gli infermieri andavano e venivano cento volte al giorno e a volte solo per chiedere: come va ?

Quel giorno si fermò davanti al mio letto il primario, mi salutò, mi disse che stavo meglio che non ero ancora guarito ma che  la mia malattia, in fase di miglioramento, poteva benissimo essere curata in un’altra struttura meno importante.

Mi chiese poi se fossi disposto ad essere trasferito e lasciare il posto ad altri malati COVID decisamente più gravi.

Neanche ci pensai, gli dissi NO, non mi sarei mai spostato da lì per niente al mondo, mi sentivo come protetto, mi sentivo in mani sicure, mani che già conoscevo, mani che mi tenevano aggrappato alla speranza di potercela fare, mani da cui non mi sarei mai staccato.

Io non so se mi mancò in quel momento il coraggio, né so se in quelle condizioni è possibile averne.

So che il desiderio di poter guarire superò ogni forma di altruismo, so che quella volta scelsi  “me”, so che quella volte vinse l’amore per me e forse rimase una delle poche volte.

Non so se in una condizione di solitudine e di paura, è concesso avere una lucidità e una razionalità tale da farti consentire la scelta giusta, o se                    la paura di morire da soli e in quel contesto modifica ogni atteggiamento trasformandolo in rabbia.  

La paura di non avere più tempo davanti, ti piega e ti acceca, ti fa aggrappare alla disperazione e a chi non hai più vicino, mentre ti passano davanti, dentro sacchi di plastica chiusi con una zip, persone che erano lì con  te sino a qualche ora prima.

Non sai più all’improvviso ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

So che dissi di NO, un NO secco che aveva dentro l’egoismo che ti dà la straordinaria voglia di vivere.

Ritornarci ora sull’argomento, non è la stessa cosa, tutto e’ in una luce diversa.

Non so se quel mio rifiuto abbia avuto conseguenze, non so se la persona che avrebbe preso il mio posto ce l’ha fatta. Spero tanto di si.

Non ho mai capito se la paura è stata la mia forza o la mia debolezza, se la paura ha tolto o ha reso lucidi quei momenti.

Forse è normale così, ti accorgi che quella “guerra” la stai perdendo, che  in giro c’ è un non detto: si salvi chi può,  e allora cerchi di salvarti, ben sapendo che non tutti ce la faranno.

Quando per fortuna sono guarito, ma solo allora, ho pensato e ripensato alle parole del primario: lì fuori, c’è gente molto più grave di te.

E’ andata così, ma spesso mi chiedo se non fosse stato giusto fare diversamente.

Che ne sarà stato della persona che avrebbe preso il mio posto ?  

Spero solo stia bene, spero sia già tornato a casa, spero sia felice.

A volte ci penso e ci ripenso, e in mezzo a mille  ricordi, centomila riflessioni e un milione di domande, mi dico:

“ Non pensarci, è già tutto passato. Se Dio vuole col tenpo, cancellato”.

Mi dico: “ Ripensarci non ha senso ”.

Mi dico: “ Si lo so…… ma poi ci penso “.