Ringraziamo l’autore per aver autorizzato la pubblicazione del suo libro su queste pagine. 

Rubriche/PensieriParole/di Marino Giannuzzo.

Quel primo giorno di settembre era afoso, umido, appiccicoso. Era conveniente restare in ufficio, seduto dietro la scrivania per provvedere ai conteggi del mese precedente, anche se non dovevano essere onerosi, come di solito, dato il periodo estivo ed il mese particolare di agosto, quando avvocati e giudici preferivano andarsene al mare, ai monti o in crociera.

Pure lui s’era prese le sue ferie, e si era rilassato, ma aveva preferito il periodo a cavallo tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. Era rientrato quella mattina in servizio dopo una breve pausa di tre giorni, sul finire di agosto.

Pignoramenti e sequestri non erano stati richiesti e quindi la contabilità sarebbe stata piuttosto semplice e veloce. Però visitando l’agenda, ferma sul lato destro della scrivania, si rese conto che nel pomeriggio aveva un appuntamento con Cocco e Bilardi.

Cercò il fascicolo nell’armadio metallico posizionato alle sue spalle. Lo controllò. Era tutto in ordine: precetto, l’assegno protestato per cinquecento euro, la notifica eseguita in modo regolare, periodo per l’esecuzione valido. Insomma tutto era a posto. L’unico che non era a posto era lui, appena rientrato dal breve periodo di tre giorni di riposo, necessari per il disbrigo di alcune faccende riguardanti la famiglia. Il pomeriggio doveva dedicarlo ai due avvocati, Cocco e Bilardi, che avevano chiesto di presenziare al pignoramento per conto del loro assistito, di cui avevano una formale procura, in danno di un certo Cirillo Gaspare, di Giardinello.

Gaspare Cirillo non era persona abituata a subire pignoramenti, così che egli, ufficiale giudiziario della pretura di Partinico, non lo conosceva, come invece avviene di solito con i debitori abituali e cronici.

Quindi nel pomeriggio i tre si incontrarono davanti al bar dell’angolo, a venti metri dalla pretura, e insieme, con l’autovettura guidata da Bilardi, si recarono a Giardinello, controvoglia tutti tre per il caldo ancora stressante di quell’anno e per la noia di dovere svolgere quell’attività quel pomeriggio, pesante per l’umidità di cui l’aria era ancora pregna. Ma qualcuno doveva lavorare mentre il creditore probabilmente era a godersi ancora il mare cristallino di quel lembo di Sicilia occidentale.

In casa del debitore rinvennero una signora anziana, madre di Gaspare Cirillo, la quale, su richiesta dell’ufficiale giudiziario indicò un bar all’inizio del paesello, di appena un migliaio di abitanti, dove il figlio

poteva con molta probabilità essere rinvenuto e dove di fatto fu rinvenuto dai tre.

Il trio aveva notato subito con un colpo d’occhio che nell’abitazione, più simile ad un tugurio che ad una casa di civile abitazione, non c’era nulla da pignorare, salvo un vecchio televisore in bianco e nero di nessun valore commerciale, per cui si rimisero in auto e si recarono al bar indicato dalla madre.

Il Cirillo era un uomo sui trent’anni, non di bell’aspetto, piuttosto trasandato. Al sopraggiungere dei tre era stancamente appoggiato al bancone, con un bicchiere di whisky davanti, intento a chiacchierare col barista, unica presenza nel locale oltre la sua.

L’ufficiale giudiziario, un ometto sulla cinquantina, persona pacata e convinta pienamente che si prendono più mosche con una goccia di miele piuttosto che con un barile di aceto, come recita un vecchio proverbio appreso da suo padre, si avvicinò ai due e chiese sottovoce chi di loro fosse il signor Gaspare Cirillo.

-Perché? Lei cosa vuole da Gaspare Cirillo?- rispose subito l’avventore, tracannando tutto d’un fiato il suo whisky e pronto a dare battaglia.

-Ho bisogno di parlargli, ma senza pubblicità e possibilmente in modo riservato. Ma ho capito che è lei… Io sono un ufficiale giudiziario.

-L’avevo capito pure io… – interruppe il Cirillo – …e che vuole? Può parlare, io non ho problemi di riservatezza e non ho segreti per l’amico mio di dietro al bancone – sbottò con arroganza.

-Ok. Le dico subito allora che ho un assegno protestato e i documenti necessari per eseguire un pignoramento.

-Pignoramento a chi?

-Purtroppo nei suoi confronti.

-Allora può andare a casa mia, troverà mia madre, se vuole può pignorare lei e portarsela, perché non troverà altro da pignorare…

-Ci siamo già stati a casa sua…

-Allora avete già visto cosa c’è, anzi cosa non c’è.

-Ha ragione, non c’è proprio nulla. Tuttavia io ho il dovere di chiederle se ha intenzione di onorare questo suo debito e con quali modalità.

-Per ora non ci sono nemmeno gli occhi per piangere e non so quando sarà possibile. Quindi non posso dare una risposta precisa.

-Ma un impegno, anche verbale, cioè con poche parole e sulla parola, neppure può essere preso? Le dico questo perché i qui presenti – e l’ometto sulla cinquantina indicava i due alle sue spalle alla distanza di alcuni metri – sono l’avvocato Cocco e l’avvocato Bilardi, procuratori del suo creditore Bonfanti Carmelo…

-Lo so chi sono e li conosco molto bene… per il momento non posso promettere niente… e poi loro sanno bene che questo debito nasce da un prestito con interessi abbastanza alti, che non posso dimostrare, e che Bonfanti sapeva bene che non avrei potuto pagare per la data che lui ha voluto impormi. Ha cercato di fare firmare mia madre per sostituirla a me come debitrice, ma non gli è riuscito perché io non ho voluto. Voleva appropriarsi di quella miseria di casa di proprietà di mia madre, quel farabutto. Quindi se vuole aspettare aspetti, altrimenti faccia come gli pare… Lui e voi pure…

Bilardi, il più anziano dei due avvocati, che fino a quel momento erano stati muti su suggerimento dell’ufficiale giudiziario, intervenne:

-Ma almeno un acconto, anche piccolo, per recuperare le spese di oggi. Lei può avere tutte le ragioni di questo mondo, ma capisce bene che queste cose può rinfacciarle a Bonfanti, se è come afferma lei. A noi nulla può dire perché ognuno di noi è qui per lavorare e non per divertirsi o per disturbare persone.

-Non posso dire né dare nulla, né a Bonfanti né a voi. Fate quello che volete.

-Ufficiale giudiziario – disse il Bilardi volgendosi verso di lui – possiamo fare intervenire la forza pubblica? Lo sto chiedendo formalmente.

-Sì, anche se non ne vedo l’utilità in questa circostanza.

-La vedo io. Poi capirà il perché…

-Ok. Telefoni…

-Avvocato Bilardi, stia attento a quello che fa! – fu la minaccia del Cirillo.

-Signor Cirillo, non si permetta di minacciare nessuno! – intervenne con risolutezza l’ufficiale giudiziario.

-Io faccio quello che voglio e non sarà lei a dirmi ciò che devo o non devo fare – rispose con arroganza velata di minaccia il Cirillo.

-Ok. Faccia come crede. Avvocato Bilardi, chiami i carabinieri.

-Qui siamo a Giardinello, ad appena un chilometro da Montelepre. Se qualcuno l’ha dimenticato glielo ricordo io… – concluse, come ultima battuta, il Cirillo.

Dieci minuti dopo giunsero con una autovettura di servizio due carabinieri, un appuntato e un carabiniere semplice. L’appuntato chiese di essere ragguagliato sulla circostanza. L’ufficiale giudiziario espose i fatti, avvenuti fino a quel momento, tralasciando le larvate minacce espresse dal debitore. Quando ebbe finito, intervenendo, il Bilardi disse:

-Ufficiale giudiziario, abbiamo da pignorare l’autovettura intestata al signor Gaspare Cirillo, parcheggiata qui, davanti al bar. Le fornisco copia del libretto di circolazione – e così dicendo lo porse all’ufficiale giudiziario.

L’ometto sulla cinquantina lo esaminò. Per cortesia lo esibì all’appuntato, che lo restituì subito dopo avergli dato un fuggevole sguardo. Il Cirillo si chiuse in totale mutismo, con un visibile sforzo. Non s’aspettava quella mossa e in cuor suo meditava già la vendetta. Quello era un sopruso che gli si faceva, almeno così riteneva, e qualcuno avrebbe dovuto pagare. Non aveva importanza chi sarebbe stato, a torto o a ragione.

L’ufficiale giudiziario e l’appuntato gli chiesero se aveva da dire qualcosa.

-Non ho nulla da dire….

L’ufficiale giudiziario visionò l’autovettura, ne constatò la proprietà, che risultò del signor Gaspare Cirillo, che era rimasto nel bar, non avendo voluto essere presente all’esecuzione del pignoramento. Ne fece una sommaria descrizione e l’affidò alla custodia dell’avvocato Cocco, il più giovane dei due avvocati.

Quell’autovettura fu custodita per oltre un anno, forse due, quasi abbandonata davanti alla pretura di Partinico. Bisogna precisare che al momento in cui fu pignorata aveva un valore irrisorio e che l’annullamento di valore divenne totale con la custodia avvenuta in quel modo. Pare che non sia stata mai posta all’asta per non affrontare ulteriori deleterie spese e che qualche rottamatore di ferrivecchi abbia nel tempo provveduto a farla scomparire.

Col trascorrere dei giorni e dei mesi il signor Cirillo non abbandonò l’idea di vendetta. Aveva l’idea, ma non l’iniziativa. Inoltre non conosceva, neppure minimamente, da dove iniziare, il percorso da fare, chi erano gli individui da affrontare e come affrontarli. Insomma aveva l’idea, il desiderio, quasi la smania.

Fu l’uomo del bar, il barista, a suggerirgli un sentiero.

In Giardinello, nella minuta polizia municipale, vi era un tale che, non si sa se effettivamente o abusivamente, era ritenuto maresciallo, il maresciallo Panza. Questi era stato visto insieme all’ufficiale giudiziario nel paesello almeno per un paio di volte. Nessuno conosceva il motivo. Forse erano amici. O forse altro. Si trattava di altro, e precisamente di debiti non pagati, per i quali l’ometto sui cinquant’anni aveva il dovere di avvicinarlo, confabulare con lui e invitarlo a chiudere la partita. Le volte che l’ometto aveva avvicinato il maresciallo erano state ben più di due volte. Erano state almeno una decina. Tuttavia il sentiero era percorribile.

Cirillo cercò e trovò il Panza al bar. Accennò alla vergogna che aveva subìto in quello stesso bar e gli manifestò, alla larga, che voleva avere soddisfazione. Panza dapprima gli fece notare che si trattava di qualcosa molto rischiosa, c’erano di mezzo due avvocati, che in fatto di leggi ne avrebbero saputa una

più del diavolo, e un ufficiale giudiziario, uomo di legge, anche lui, immischiato con giudici e tribunali, che se le cose fossero andate storte sarebbero stati…cavoli amari.

-E secondo voi dovrei lasciare perdere senza fare nulla, facendomi deridere alle spalle? Quindi il danno e la beffa? – disse, quasi depresso, Cirillo.

-No, non dico questo. Ma voglio farti capire che ci sono molti rischi. Qualcosa però credo possa essere fatta. Ma tu devi stare lontano. Lontano da tutti. Devi soltanto non dimenticare che se ti si presenterà il conto non puoi rifiutarti di pagare.

-Io sono col culo a terra…

-Non parlo di moneta…

-E allora di che?

-Nella vita ci sono tanti modi per richiedere un pagamento e…per pagare. Non preoccuparti. Ti farò sapere qualcosa. Fammi parlare con qualche amico…

Cirillo si sentì sollevato, per un verso. Però era perplesso e titubante, ma doveva pur decidersi, se non voleva che a quel punto diventasse lo zimbello del paese, dove le notizie corrono più veloci che su una linea telefonica. E il maresciallo Panza era un esperto in materia, pur non facendo mai esplicitamente nomi.

Consumarono entrambi un whisky al banco, si salutarono e ognuno andò per la sua strada.

Dopo una quindicina di giorni, alla terza richiesta di notizie da parte del Cirillo, il maresciallo aveva risposto che certe operazioni hanno bisogno di tempo, di preparazione e di varie strade percorribili per giungere alla meta. E di pazienza.

Finalmente dopo pochi giorni fu proprio il Panza a richiamare l’attenzione di Cirillo, vedendolo passare nella piccola piazza in bicicletta. Qualcosa si andava muovendo. Bisognava solo attendere ed avere pazienza. Per ora si prendevano informazioni, qua e là presso amici di amici. Cirillo cominciava a respirare, benché qualche timore cominciava a serpeggiare nel suo intimo. Ma si rincuorava pensando che in fin dei conti nessun filo avrebbe collegato lui con avvenimenti che sarebbero stati probabilmente estranei e sconosciuti anche a lui.

-Ciao, Cirillo. Siamo sulla strada giusta, ma si vuole sapere che cosa vuoi tu: una dimostrazione piuttosto pesante oppure un qualcosa di puramente dimostrativo, quasi simbolico, tanto per fare capire che non si resta impuniti, specialmente se certe azioni si dovessero ripetere?

-Voi cosa dite?

-Io non dico nulla. Sei tu che devi decidere perché la cosa riguarda te, non me.

-Io vorrei limitarmi a fare capire…

-Va bene. Ci siamo capiti! Oggi è lunedì. Fra una settimana precisa, lunedì prossimo, in mattinata fatti vedere. Sai dove e come trovarmi. D’altra parte sono sempre qui, in mezzo a ‘sto gran paesazzo!

-Ok. A lunedì. Prendete qualcosa? – e così dicendo indicava con il braccio teso il bar.

-No. Grazie, ho già preso troppi caffè stamattina. Sarà per un’altra volta. Arrivederci.

-A disposizione vostra. Arrivederci e buona giornata.

Il Panza si allontanava mentre Cirillo restò fermo sul posto, senza spostarsi di un centimetro, e mentre nel cervello gli si agitavano mille congetture.

-Ma sì, alla fine è giusto che abbiano quello che meritano!-

Entrò nel bar, ordinò un whisky, lo tracannò d’un fiato, pagò e andò via in fretta, come se avesse da sbrigare qualcosa di dimenticato. Qualcosa gli si era scatenata dentro con il whisky. Doveva fargliela pagare.

Il Panza realmente si era mosso. Conosceva molto bene Boccetta, un tale che al carcere stava di casa. Entrava ed usciva spesso. Piccolo delinquente, dedito a piccoli furti e a piccole truffe, confidente non molto fidato di carabinieri e polizia. Si era creato un angolino tutto suo nel mondo delinquenziale di Borgetto e paesi limitrofi. Non era tenuto in gran conto dalla mafia che valeva, ma lo usava all’occorrenza e lo lasciava fare quando non disturbava.

Il maresciallo gli aveva fatto cenno delle intenzioni e del bisogno di vendicarsi del Cirillo, indicando anche i destinatari. Il Boccetta si era dichiarato, seduta stante, disponibilissimo. Bisognava soltanto indicargli di cosa si aveva bisogno. L’unico ostacolo all’azione si poneva per l’avvocato Bilardi. Egli, il Boccetta, aveva un debito con lui, non di denaro, ma di cortesia. Quindi era da escludere. Per l’avvocato Cocco e per l’ufficiale giudiziario non ci sarebbero stati problemi, particolarmente per quel cornuto dell’ufficiale giudiziario che non la perdonava nemmeno a sua sorella. Diceva che era il suo lavoro e il suo dovere, ma il fatto era che ci provava gusto a rompere le scatole alla gente. Qualcosa anzi l’avrebbe giunta di suo perché una volta anche con lui ci aveva provato per fargli un pignoramento, ma egli si era ben premunito dal punto di vista legale e quel cornuto se ne era dovuto andare come era venuto. Era chiaro però che il Boccetta non agiva da solo. Anzi spesso si serviva di suoi subalterni per delle scorribande, dopo avere dato precise disposizioni sul da farsi. E sicuramente questa sarebbe stata una di quelle. Con un fischio due scavezzacollo si sarebbero presentati immediatamente. E così fu anche quella volta.

Il Panza incontrò nuovamente il Boccetta riferendo che si voleva soltanto una dimostrazione nei confronti dei tre. Il Boccetta puntualizzò nuovamente che l’avvocato Bilardi doveva essere tenuto fuori da questa storia. Per gli altri due non ci sarebbero stati problemi. Erano necessari un paio di giorni per assumere notizie sui due e doveva essere pure chiaro che nessuno doveva sapere né sul cosa, né sul come e né sul quando si sarebbe dovuto agire.

Il Boccetta contava degli amici del suo calibro a Borgetto e nei paesi vicini. Un tale, piccolo imprenditore, di nome Graziano, era uno di questi. Non era dedito ai furti, ma per le piccole e medie truffe era uno specialista. Rispettava unicamente chi non lo rispettava. Aveva un gran timore della vendetta nei suoi confronti e si muoveva con circospezione, talvolta negando anche l’evidenza, se necessario.

A lui si rivolse Boccetta per avere notizie ed egli le fornì con dovizia di particolari, non potendo negare quanto gli si chiedeva, ad un amico di tal genere, benché avesse qualche debituccio di cortesia nei confronti dell’ufficiale giudiziario, ma non era l’ufficiale giudiziario che poteva fargli paura. E poi chi doveva dirglielo che era stato lui, Graziano, ad avere dato informazioni che lo riguardavano? Quindi indicò dove l’avvocato Cocco aveva lo studio e dove parcheggiava di solito l’auto. Dell’ufficiale giudiziario indicò il luogo dove aveva la casa di campagna e al Boccetta e ai due giovanotti che lo accompagnavano raccomandò:

-Acqua in bocca, però! – portandosi l’indice della destra sulle labbra.

-Ma che dici!? Nemmeno lo devi pensare… – protestò subito il Boccetta.

Si fermarono al bar presso un distributore di benzina, consumarono qualcosa, pagò il Graziano, dovendo e volendo fare gli onori di ospitalità, malgrado l’insistenza dell’amico per volere pagare lui. Si salutarono abbracciandosi i due amici. I due ragazzi scambiarono una stretta di mano senza aprire bocca. Il Graziano non li conosceva e non doveva conoscerli. Aveva assolto il suo compito in attesa che la cortesia gli venisse restituita se ne avesse avuto bisogno.

Il lunedì mattina stabilito Gaspare Cirillo cercò il maresciallo Panza e lo trovò nella tarda mattinata, poco dopo mezzogiorno.

-Giornataccia oggi! – esclamò il Panza – mentre con un fazzoletto di carta s’asciugava il sudore sotto il grasso mento taurino -. Ma veniamo a noi. Ascoltami senza fare domande. Per domani sera trova una macchina, tua, di tuo cugino, di chi ti pare. Alle nove, o, se preferisci, alle ventuno precise ti fai trovare accanto all’ingresso dell’ospedale di Partinico, seduto al volante. Due persone ti si avvicineranno e ti chiederanno se hai due sigarette. Risponderai che non fumi. Si accomoderanno in macchina, sul sedile posteriore, senza chiederti altro. Ti diranno verso dove devi dirigerti. Segui le loro indicazioni senza fare domande e fai ciò che ti dicono, fino al momento in cui li lascerai sul posto dove li hai presi. Tu non li conosci. Loro conoscono te. Vai tranquillo e non crearti problemi di nessun genere. Noi ci dobbiamo rivedere venerdì pomeriggio al solito bar. Mi offrirai da bere. Qualcosa non è chiara? Mi sembra abbastanza semplice. Non devi fare nulla se non metterti a disposizione e seguire le indicazioni.

-Ok. Sarà fatto come avete detto voi!

Anche questa volta Cirillo offrì da bere e anche questa volta il maresciallo rifiutò. Si salutarono e si allontanarono ognuno per la propria strada.

Il martedì sera Cirillo puntualmente si fece trovare, come gli era stato detto, vicino all’ingresso dell’ospedale di Partinico e puntualmente, alle nove precise, tra tutti gli amici e parenti dei ricoverati che entravano o uscivano dal nosocomio, due giovanotti che chiacchieravano tra loro gli si avvicinarono e gli chiesero le due sigarette.

-Non fumo! – rispose.

Senza dire altro o attendere altro i due aprirono gli sportelli posteriori dell’auto e si accomodarono sui sedili posteriori.

-Andiamo sull’autostrada, direzione Trapani! – disse quello dei due che aveva preso subito la direttiva dell’impresa.

Cirillo mise in moto l’autovettura e partì. Seguì la direzione che gli era stata ordinata. Percorsero i pochi chilometri per raggiungere la A29, la imboccarono con direzione Trapani e proseguirono per circa quindici minuti. Allo svincolo per Castellammare del golfo colui che aveva dato disposizioni precedentemente ordinò di svoltare per l’uscita dall’autostrada. Giunsero al paese e dopo avere girovagato per due strade tra le principali rifecero un tratto della strada già percorsa, ma, allo svincolo per Alcamo, Cirillo ricevette l’ordine di dirigersi verso la cittadina indicata dalla segnaletica. Manovra che fu eseguita senza che altri aprisse bocca.

Proseguirono per un mezzo chilometro circa. Poi giunse l’ordine di svoltare a destra, in una stradina sterrata. Percorsero ulteriormente circa trecento metri e ad uno spiazzo che si era presentato sulla sinistra Cirillo ricevette disposizione di fermarsi, spegnere il motore e tenersi pronto per ripartire appena i due, che già si accingevano a scendere dall’autovettura, sarebbero tornati. Cirillo eseguiva tutto ciò che gli si diceva senza aprire bocca, come gli aveva suggerito il maresciallo Panza.

Dopo un quarto d’ora i due furono di ritorno. Montarono in macchina e si ripartì per tornare a Partinico, davanti all’ospedale. Nessuno parlò per tutto il tratto di strada. Giunti si salutarono con un cenno della mano e i due scomparvero nel buio della sera ormai inoltrata. Cirillo non li rivide mai più.

L’ometto sulla cinquantina, l’ufficiale giudiziario, quando nel tardo pomeriggio dell’indomani si recò come al solito nella sua casa di campagna, dove trascorreva buona parte del suo tempo libero curando qualche hobby, trovò la porta del piano terra aperta, senza che la serratura fosse stata forzata, come se egli l’avesse dimenticata aperta o qualcuno avesse avuto la chiave adatta per aprirla. In un primo momento pensò di averla sbadatamente lasciata lui aperta. Ma non lo pensò più quando entrato vide lo scaffale con tutti i libri che conteneva scaraventati per terra, una vecchia macchina per scrivere doppio carrello colpita con un qualcosa che poteva essere stato un bastone di ferro e una tela, che egli aveva dipinto ultimamente, per terra leggermente danneggiata, come se si avesse voluto rispettarne la figura o l’autore.

Guardò quello spettacolo per un bel po’. Non toccò nulla per quel pomeriggio, indeciso se denunciare il fatto. Chiuse la porta, che non risultò affatto danneggiata, trascorse del tempo gironzolando per il campicello mentre faceva mille supposizioni. Varie ipotesi sorgevano dal nulla. Una però lo trascinava particolarmente. Controllò se vi erano stati danni all’appartamento del piano superiore, poiché il fabbricato si componeva di un piano terra e di un primo piano, o se era stato trafugato qualcosa, ma nessuno vi era entrato e nulla mancava, così come poté constatare nel garage attiguo all’appartamento del piano terra.

Chi era entrato in casa sua senza avere portato via nulla non era entrato per rubare e questo era evidente. Se avesse voluto veramente fare del danno avrebbe potuto infierire su quanto era in casa, avrebbe potuto accedere in altri locali, dove vi erano beni ben più consistenti o, addirittura, dare fuoco agli stessi. Ma tutto ciò non era avvenuto, quindi si trattava di una ripicca o di una piccola vendetta o di un avviso. E bisognava capire. E l’uomo aveva quasi capito. Ma doveva attendere per qualche tempo per avere la certezza di quanto si presentava come un sospetto.

E la certezza giunse dopo appena tre giorni e una notte.

Alla telefonata concitata sul fare dell’alba i vigili del fuoco, a sirene spiegate, giunsero dopo pochi minuti nella via Dardanelli numero centoventiquattro, dove vi era un giardinetto privato, attiguo ad un condominio, aperto sul lato prospiciente la strada, come era stato indicato, dove una autovettura aveva una delle gomme posteriori in fiamme. Quindi, e per fortuna, lontano dal motore, ma anche dalla parte opposta della presa per il serbatoio del carburante.

La fiamma fu spenta immediatamente ma qualche danno l’aveva causato. La ruota completa di cerchione risultò ormai inutilizzabile, la vernice della carrozzeria in corrispondenza della ruota e sopra di essa aveva subìto dei danni, ma il peggio era stato evitato. Il dolo era chiaro ed evidente. L’autore o gli autori sconosciuti, logicamente. Fu individuato il proprietario dell’autovettura, che risultò essere l’avvocato Pasquale Cocco, il quale dichiarò di non avere alcun sospetto in particolare. Fu chiuso il verbale dell’intervento, firmato dalle parti interessate, cioè dall’avvocato Cocco e dal caposquadra dei vigili del fuoco.

Il Cocco faceva mille congetture, ma nessuna lo convinceva totalmente. Sul finire di settembre non si poteva certo parlare di autocombustione e neppure di casualità. Inoltre se qualcuno ce l’aveva con lui avrebbe fatto in modo che in pochi minuti le fiamme avessero avvolto e distrutto l’auto, pur con l’intervento dei vigili del fuoco. Purtroppo la professione che egli esercitava talvolta creava delle inimicizie ingiustificate, ma le creava. E scegliere fior da fiore non era facile né si poteva facilmente capire da quale fiore venisse lo sgradito olezzo in quella circostanza. Quindi anche quando fu interrogato dai carabinieri in caserma dovette confermare che non aveva alcun sospetto in particolare.

Attese qualche altra mossa, che non venne mai.

Il sospetto invece prese consistenza di realtà quando incontratosi dopo qualche giorno con l’ufficiale giudiziario, avendo costui saputo dalla stampa scritta e da quella televisiva locale di quanto gli era accaduto, gli chiese se avesse qualche sospetto edegli rispose di no. Allora l’ufficiale giudiziario raccontò cosa era successo a lui nella casa di campagna alcuni giorni prima ed entrambi giunsero alla certezza che l’autore potesse essere stato il Cirillo, o chi per lui. Decisero però di tenere per loro il segreto in attesa che succedesse qualcosa all’avvocato Bilardi, per avere la certezza al mille per cento, come si suole dire. Trascorsero mesi, poi anche anni. Al Bilardi non successe nulla di spiacevole, almeno così dichiarò sempre, e non c’era motivo per non credergli.

Quando finalmente confidarono al Bilardi cosa era capitato loro molta acqua era scivolata sotto i ponti. Quei due atti delinquenziali non furono denunciati e neppure puniti, come si era pensato di fare nei primi momenti.

Alcuni mesi dopo una mattina l’ufficiale giudiziario, mentre usciva dai locali del suo ufficio, a distanza incontrò lo sguardo del Panza, che lo fissava intensamente, come se volesse comunicargli qualcosa. Anche egli lo fissò intensamente come se tra i due avvenisse un dialogo, probabilmente di natura varia e diversa tra i due. In quel momento vide il Panza in compagnia del Boccetta. Erano quelli gli anelli mancanti che completavano e chiarivano la catena che aveva avuto inizio dal Cirillo e si era completata con lui e con l’avvocato Cocco. Ora era tutto chiaro: Cirillo, Panza, Boccetta, Graziano, lui, ufficiale giudiziario, e avvocato Cocco, puniti per avere eseguito il pignoramento con l’intervento della forza pubblica, nei confronti del Cirillo. Per i due, su cui si era abbattuta la vendetta, rimase per sempre il mistero della incolumità riservata all’avvocato Bilardi.

Unica soddisfazione che volle e poté prendersi l’ufficiale giudiziario fu quando incontrò casualmente il Graziano, che gli chiedeva, quasi ingenuamente, se la casa di campagna l’avesse ristrutturata rispetto a come era venti anni prima, cosa non ancora avvenuta, benché nei progetti di famiglia. Alla domanda, che non gli era stata mai rivolta dal Graziano in venti anni, in modo risentito rispose:

-Perché non lo chiedi a Boccetta? Lui lo sa sicuramente. E lo sai anche tu!

Preso di sorpresa a quella domanda e a quelle affermazioni così incalzanti, in modo quasi confusionale si affrettò ad affermare:

-Io non so nulla. Te lo giuro sui miei figli.

-Non sei stato tu a indicare all’amico tuo dove ho la casa di campagna io?

-Te lo giuro non so nulla! E non so neppure di cosa stai parlando!

-Va bene, anzi va male! Borgetto e Giardinello ormai conoscono il luogo. Se vogliono possono soddisfare qualche altro loro capriccio, ma se succederà verrò a trovare te per primo e sarai tu naturalmente a pagare per primo…

Come se fosse stato offeso nell’onore il Graziano, livido in volto, lasciò l’ufficiale giudiziario e si diresse verso il luogo da cui era venuto borbottando: – non so niente…

Trascorsero pochi mesi da quell’incontro. Il Graziano, già sofferente di suo per vari stravizi, ebbe un infarto all’improvviso e passò …. a miglior vita.

Marino Giannuzzo nato a Cutrofiano (LE) il 02.02.1943 vive ad Alcamo (TP).

   Con RACCONTIAMO l’Autore ha voluto porre a disposizione del lettore, che ne abbia voglia e curiosità, alcune sue esperienze di vita, piuttosto inconsuete.

Inconsueta è la circostanza in cui il povero “Gaspare Cirillo” deve subire l’umiliazione di un pignoramento con degli sviluppi che gli permetteranno di rivalersi con una meschina vendetta; così come avviene in “Il merlo” in un ambiente in cui non ci si aspetterebbe che possano avere vita certe azioni e reazioni, così come avviene in “Noviziato”, dove il lettore scoprirà l’assurdo per una vita normale.

   Per ELIANA. Diario breve di un amore fantastico. A tutti sarà capitato di fantasticare su fatti accaduti a persone vicine o lontane, su avvenimenti personali, su fatti mai avvenuti o su cose puramente immaginarie o immaginate negli ozi della giornata, durante una passeggiata nei giardini pubblici o seduti su un muricciolo in aperta campagna. È successo anche a me per ELIANA.

   A MISCELLANEA È stato dato tale titolo per un insieme di componimenti in versi a cui si potevano dare anche altri titoli. Componimenti a cui si è voluta dare una classificazione non cronologica, data dopo data, del pensiero dell’Autore, ma si è preferito invece dare un ordine indicativo alfabetico secondo l’inizio di ogni brano. L’indice aiuterà il lettore a trovare subito la pagina in cui ogni brano è rintracciabile.

   Chi avrà la pazienza e la bontà di leggere “RACCONTIAMO” “ELIANA” “MISCELLANEA” forse qualcosa troverà di interessante.