Rubriche/di Piero D’Errico

Non ricordo più cosa diavolo stessi cercando da più di un’ora, ricordo bene però che, casualmente, trovai qualcosa molto più importante di ciò che stavo cercando.

Qualcosa che avevo a lungo cercato e che ormai avevo dato, non senza sofferenza, per smarrita. Non era stato comunque facile.

Da lì a breve,  avrei rinunciato, mi sarei arreso, quando dal fondo del cassetto di un comò barcollante spuntò all’improvviso quel barattolo di latta con sopra scrittto BISCOTTI MELLIN, i miei preferiti come mia mamma mi raccontava.

Era nell’ultimo cassetto del comò, quello che non si riusciva ad aprire tutto perchè strisciava per terra.

Per anni avevo pensato che nell’ultimo trasloco fosse andato  perduto, buttato via tra le  tante cose buttate per sbaglio.

Non so perchè quella scatola di latta non la aprii subito, la tenni tra le mani per un bel po’, come avessi trovato un tesoro.

Quando cercai di aprirla sembrava come fosse incollata.

Quello che dentro non ci stava, era legato con un elastico che girava intorno e che ancora resisteva al tempo.

Le cose migliori sono quelle che non hai preventivato e quel ritrovamento, fu davvero una sorpresa, una bellissima sorpresa.

Fu così che in quella giornata d’autunno, quella giornata che  Lucio Battisti avrebbe chiamato “uggiosa” e che ti metteva addosso tanta malinconia, rovistando nei cassetti di un vecchio comò barcollante  trovai una scatola di latta piena di ricordi.

Si, piena di vecchi ricordi che avevo voglia di ripassare e di rivivere.

Legata con l’elastico, una mia vecchia poesia, una delle prime, i caratteri quelli di una Olivetti Lettera 32 con qualche lettera non chiara, quasi illegibile, scritta su un foglio scolorito dal tempo.

Una poesia mai raccontata, mai recitata e mai dimenticata.

Una poesia che sapevo a memoria e che dopo tanti anni ricordavo ancora.

E poi c’era a seguire, quasi incollata, quella famosa pagella con quel due scritto a penna che diventò sette nel trimestre successivo.

Poi fu tutta una violenta scarica di emozioni senza fine.

La foto della squadra di calcio che aveva vinto il torneo dell’ oratorio nell’ anno 1965.

La foto di noi campioni esposta a lungo nella bacheca della Chiesa. Io il primo in piedi a sinistra, maglia nera e pantaloncini dello stesso colore.

Le foto di quella indimenticabile gita scolastica a Londra, quelle dinamiche che si sarebbero dovute verificare e che invece non si verificarono per niente.

Era tempo del beat, della moda beat ed io tornai con collane, anelli e con un foulard colorato annodato intorno alla testa.

I miei genitori, inutile negarlo, non furono felici di rivedermi in quello stato. 

In una foto c’era pure la Mariù, eravamo tutti pazzi per lei.

Chissà dove è andata a vivere e come sarà stata la sua vita dal quinto commerciale in poi.

Io non l’ho più rivista.

E poi una dopo l’altra le foto della prima comunione, di qualche compleanno, io vestito da chierichetto, io soldato.

Le foto di me, come fossi il mio attore preferito.

E poi io con mia madre, con mio padre, le mie sorelle, con zii e cugini in campagna o al mare.

C’era pure qualche altra pagella, tutte al minimo, all’essenziale, appena per passare il turno.

Avevo sempre il desiderio di studiare, ma rimasi sempre lì, al desiderio.

Prometto di farlo se Dio ci darà ancora altre occasioni.

Quante cose, quanti ricordi in quel barattolo di latta di BISCOTTI MELLIN.

Tratti di vita lasciati alle spalle e quasi dimenticati, ricordi che  vanno e vengono e quando pensi di averli dimenticati, eccoli lì all’improvviso che tornano.

Solo l’età non torna più. Peccato.

“Oh Dio, s’è fatto tardi, è quasi buio.

No, non è tardi, è solo che questa cazzo di giornata uggiosa, non è riuscita ad illuminarsi”.

Mi alzai da terra, guardai fuori dalla finestra, il cielo sempre scuro e minaccioso.

Mi alzai da terra che avevo addosso tracce sparse di malinconia, tutta colpa di quel cielo scuro pensai.

Maledizione !!!

Avevo gli occhi anche un po’ bagnati e mi bruciavano da morire.

Ma sì, sarà scesa anche un po’ di umidità.

O forse no.