Rubriche/di Piero D’Errico

Era l’ anno 1972 e già c’era qualcuno che cantava:                                       “……………..là dove c’era l’ erba ora c’è una città ”.

Dopo più di cinquant’anni, niente è più come prima, tutto è cambiato e, non poteva essere diversamente, è cambiato anche il paesaggio. Imbruttito, a tratti devastato.

Ed è proprio per questo che il 14 marzo di ogni anno, (tra l’altro il giorno del mio compleanno ) si celebra: LA GIORNATA del PAESAGGIO.

L’uomo lascia sempre il segno nel territorio in cui vive, lascia tracce che verranno decifrate poi nel corso dei successivi mille anni.

L’ uomo caratterizza il luogo, imprime l’impronta e lascia incancellabile la sua identità.

Era più di trenta anni fa quando innamorato del paesaggio e, per la verità molto più interessato a ciò che succedeva intorno, cominciò a prendere forma nella mia mente l’idea di un percorso che attraversasse tutta la grande bellezza del nostro paesaggio.

Ero così preso che abbozzai anche un percorso turistico per gli innamorati dei “paesaggi di luoghi del Sud”.

Si snodava attraverso “carrare”, attraverso alberi di ulivo, attraverso vigneti a tendone e spalliera, attraversava i campi di grano, di angurie, di tabacco che circondavano il mio Paese.

Costeggiava masserie, vecchi ruderi abbandonati, caselli ferroviari.

Di tanto in tanto un saluto e una preghiera davanti a qualche edicola con l’immagine di una Madonna o qualche Santo, addobbata con fiori freschi e qualche cero consumato.

E poi muretti a secco che costeggiavano le stradine strette e tortuose di terra battuta, con le impronte delle ruote di carretti trainati da cavalli, scavate ai bordi.

Insomma, un percorso turistico che abbracciava il nostro incantevole paesaggio nei suoi luoghi più belli e più cari.

Quel percorso costeggiava la ferrovia e lunghi canali pieni  d’acqua appena caduta, mentre in lontananza, contadini in gilet e maniche “nfordacate”  osservavano il cielo, le nuvole o il sole.

In giro il canto degli uccelli, dei grilli e delle cicale a fare compagnia  e tutt’intorno il profumo di fiori di campo, di campagna coltivata, arata.

Ogni tanto, solo il rumore di un trattore che rigirava il terreno                    sollevando nuvole di terra rossa che un  vento dispettoso spingeva verso di noi.

Un percorso nel nostro paesaggio da far attraversare a turisti,  bambini e nonni  alla scoperta delle nostre radici, della nostra identità, della nostra storia.

Quell’idea si perse tra le altre mille che avevo. Solo giorni fa, leggendo un articolo di giornale sulla giornata del paesaggio, mi è tornato in mente e mi ha ispirato a scrivere  ciò che ora scrivo.

E’ proprio vero, non c’è più il paesaggio di una volta ma forse,  non c’è più neanche chi ora può pensare a quello che io pensai all’ora.

La politica è spesso impegnata in altro e altrove, a cose che appaiono più importanti e di quei “vecchi giardini” intorno a noi resta solo un ricordo sbiadito e malinconico.

Il paesaggio può attendere. 

Considerate perciò, questa mia scrittura,  lo sfogo di un vecchio            e romantico sognatore. E basta !!!

Ne parleremo ancora tra altri trenta o forse più anni.

O forse mai più.