Come ci vede la pubblicità

di Rosanna Verter

Il “comune senso del pudore” ha imboccato una nuova strada. Un segno dei tempi che cambiano. Ma c’è anche un tipo di donna che nella pubblicità non è mai cambiato. La donna oggetto, meno è vestita più è gradita e tra cinema, giornali e cartelloni pubblicitari chiunque può avere la quotidiana razione di “oscenità”. Qualcuno osa chiamare quei manifesti, che da qualche tempo sono sui muri cittadini, ARTE.

Il manifesto, al di là del messaggio che vogliono lanciare, è affidato ad uno sviluppatissimo sottobosco di giovanissime e belle ragazze alla ricerca del facile guadagno, della effimera ricchezza, del successo.  Basta ciò per farsi fotografare in pose mortificanti per una donna che coscientemente si offre alla carta stampata e che un manifesto può diventare un trampolino di lancio per il cinema e lo spettacolo. Il narcisismo la fa da padrone perché sono persuase della loro bellezza o forse vogliono lanciare una sfida all’ uomo concedendogli alla vista ciò che da sempre lo ossessiona. 

Quando un bel nudo, o quasi, può essere considerato un’opera d’arte e quando un’offesa al pudore? Chi decide se è nella sua essenza arte o offesa? Ma l’arte si basa su criteri estetici o sulla cognizione dell’uomo medio?

Il manifesto che in questi giorni, forse un po’ per dispetto, è tornato a far bella mostra di se su un edificio privato ha la chiara e palese funzione di sollecitare l’erotismo che ogni essere umano ha in sé, offendendo i valori umani ed il comune senso del pudore che l’art. 528 del C.P. cerca di tutelare. Ciò che vediamo all’ angolo di Corso Luce tende a stravolgere la visione sana e naturale della sessualità. I destinatari di questa visione gratuita non sono solo gli adulti ma anche i minori e può essere scuola, ma parallela.

Il piacere è alla base della presenza di erotismo nei messaggi lanciati dai manifesti, a volte allusivi, come “… Hai voglia di una diavola?” usando il “tu” familiare che dà maggiore credito al prodotto, a volte per provocare emozioni che stimolano il piacere e il sogno e nello stesso tempo allontanano la ragione e il dovere.

E’ possibile che non ci sia più un prodotto che non debba avere tra i suoi ingredienti un seno, una gamba, un sedere? Qui si parla di foto professionalmente pornografiche, di attiva partecipazione femminile in uno studio fotografico, davanti a delle macchine e lampade con tanto di cavalletti. Se comunicare un messaggio ha un ruolo informativo e formativo il vendere non può essere usato come persuasione a solo scopo commerciale esaltando e strumentalizzando il corpo femminile. Un conto è l’arte un conto è il consumo. E’ possibile che per vendere o pubblicizzare un prodotto, una attività privata si deve sempre e soltanto pensare ad una donna, nuda o vestita che sia? Forse perché siamo il filone vincente nella pubblicità? Seduzione fa rima con comunicazione, forse si vende poco se non si comunica. La pubblicità è l’anima del commercio, diceva qualcuno e questo il pubblicista lo sa benissimo e per vendere bisogna sedurre, sa benissimo che l’uomo è quello di sempre e fa leva proprio sulle sue debolezze per condizionarlo sempre più, ma è pur vero che quando un pubblicista usa il corpo femminile per far leva non ha altre idee. Quel manifesto incollato su uno sterile muro ha bisogno di un’immagine forte, diretta, che sia d’impatto, perché il passante, il conducente di un veicolo qualunque fermo lì al semaforo rosso, distratto da mille quotidiani pensieri può dedicare i pochi secondi al manifesto. Che dice il manifesto? Lo sappiamo da mesi. Il trionfo di  dodici bei culetti.  Non è falso moralismo ma realtà. Un nudo di donna, o di una parte del suo corpo, quando è bello è bello a vedersi ma quando è la deviazione, uno spogliarello di ragazze oggetto, allora è mercato, ribaltamento dei valori, offesa del pudore.    

Ma il pudore potrebbe rivelarsi un’astrazione come lo è la libertà, la giustizia e le altre cose per cui ci battiamo tutti i giorni e che non è misurabile come la pressione.

Proprio oggi che si parla tanto di violenza e che la donna si è misurata in professioni di stretto dominio dell’uomo, oggi che abbiamo dimostrato di essere una forza emergente, una forza sociale, oggi una determinata categoria continua a mercificare il proprio corpo e si fa considerare ancora, nel XX secolo, una donna oggetto. Mi chiedo e chiedo:” E’ possibile che dopo tante lotte di femminismo siamo qui oggi a denunciare la donna oggetto nella pubblicità? E’ forse il semplice gusto della trasgressione di chi non riesce a trovare il fondamento comune che è il valore della persona umana? Ma chi può dare una risposta e dire se offende o meno il pudore?”  

 Chissà se a questi interrogativi avrò mai una risposta che spero non sia come quella data dal Comando di Polizia Locale, al quale è stata trasmessa la segnalazione dell’ Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che ha risposto “di non ritenere che nel manifesto pubblicitario vi siano riferimenti alla violenza sulle donne e al vilipendio delle stesse”. Intanto credo che il Comando non era titolato a rispondere ma al di là di ciò vorrei chiedere all’ “esperto d’immagine” che ha emesso questa sentenza in base a quali suoi studi estetici, caratteristici, leggi o regolamenti si è rifatto per dare una simile risposta. La penserebbe allo stesso modo se tra quei “dodici” qualcuno di essi fosse un suo consanguineo? Dubito. Ad ogni buon conto vorrei consigliare all’esteta di partecipare al seminario di aggiornamento professionale per giornalisti, aperto al pubblico, “per ragionare sugli effetti dell’impiego di stereotipi di genere e di immagini lesive della dignità femminile nella pubblicità, nell’ informazione e nei media”. Si terrà nei prossimi giorni a Lecce. C’è sempre da imparare, anche per chi crede di sapere tutto.

Quello che alcuni uomini della Polizia Locale non hanno capito è che in una società, quale quella in cui viviamo, la libertà di fare e dire deve finire là dove comincia la libertà dell’altro, chiunque esso sia, che è sempre un essere umano, che ha una sua dignità, che dà ed esige rispetto in tutte le sue forme.

E il miglior modo di farsi notare è ben altro che dodici culi.

E cosi sia?