Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Il “Natale dell’anno dopo” aveva appena voltato le spalle e già, spinto da un vento di tramontana, si affacciava il “capodanno dell’anno dopo”.                                                                  

Mille modi per trascorrerlo, mille modi per aspettare la mezzanotte, aspettare il nuovo anno, ma per noi giovani, il capodanno significava una bella piazza per incontrarci, bella musica, cielo stellato e luna piena.

Scelsi di aspettare il nuovo anno in quella piazza, in quella bellissima piazza tra case e mare.

Non c’era ormai da un bel po’ l’obbligo di distanziamento e mascherine, potevamo stare vicini o anche, come si dice, “incollati”.                                                                                                  Ma torniamo un attimo indietro, così per ricordare e ricordarci. Virologi  & C.  erano stati allontanati con la forza dalla TV e la TV stessa trasmetteva vecchi  film di Totò e Peppino perché avendo parlato per più di un anno sempre della stessa cosa aveva perso ogni forma di creatività.                                                       

I Virologi & C. che più si erano affezionati alla TV avevano trovato altre forme di occupazione. Alcuni presentavano programmi leggeri di intrattenimento ma non di successo, altri prestavano il loro volto a qualche televendita, altri avevano iniziato un percorso di recitazione per “soap opera”.

In giro resisteva ancora qualche scritta ormai sbiadita:  # andrà tutto bene, ma a pensarci non era andata proprio così.                                                                                                   Tanti, secondo tradizione, avevano già preparato tutto quello da buttare, le solite cose, piatti vecchi, oggetti ormai fuori uso, cime di rape e di finocchi.                                                                                

A mezzanotte in punto, incuranti dei passanti, avrebbero fatto volare dalla finestra, tutto quanto per strada.                                                                                                    Dicevo, scelsi di passare il capodanno in piazza, aspettare l’anno nuovo in quella bellissima piazza di cui non faccio il nome per non fare pubblicità.                                                       

Un palco di quasi 50 metri era già pronto per il CONCERTO di CAPODANNO, sarebbe partita da lì la musica a palla adatta all’occasione.

Alle nove di sera, la musica aveva avvolto già tutto il paese, poi saliva verso il mare da una parte e verso la campagna dall’altra. E noi come sardine, di fronte.                                                                                                   La serata cominciava ad entrare nel vivo, la piazza era strapiena. C’era gente che ballava (si fa per dire) altri che cantavano, altri che bevevano.                              

Ogni tanto mini ciccioli scoppiettanti saltavano per terra  creando un fuggi fuggi.                                     

I miei pantaloni presero quasi fuoco ma: fa niente, è festa!. Qualche minuto prima della mezzanotte, cominciò il conto alla rovescia ed io ero lì a scandire i secondi che passavano e ci dividevano dal nuovo anno.                                                                          

A mezzanotte in punto, arrivò spumante da tutte le parti, sulla giacca, sui pantaloni bruciati, sui capelli, un fiume di spumante arrivava da tutte le parti.                                                             

Quando decisi di andare via per non trovarmi  imbottigliato nel traffico, ero bagnato dalla testa ai piedi, fortuna che avevo delle buste di plastica da mettere sul sedile per non bagnarlo.                                                                                                   Dimenticavo di dirvi che mentre attraversavo la piazza per andare al parcheggio a prendere la macchina, vidi tanta gente sdraiata sui marciapiedi.                                                      

Ebbi come l’impressione, che da lì non si sarebbero mossi sino al giorno dopo o   forse anche l’altro giorno dopo.                                                                                        

Quando arrivai a casa, stavano tutti dormendo, per non svegliarli mi asciugai alla meglio e andai a dormire.                                                                         

Non avevo niente da fare, ma alle otto ero già in giro lavato e profumato.                                       

Volevo solo trovare qualche amico per raccontare la sera prima.                                                             

Fu un amico curioso a chiedermi cosa avessi fatto la sera prima ed io che mi aspettavo la domanda non fui colto di sorpresa, raccontai per filo e per segno, aggiungendoci del mio, della sera prima, gli raccontai del concerto, che avevo cantato e ballato, che ero tornato a casa bagnato fradicio.                                           

E il mio amico: – s’è messo a piovere ? –  ed io: – si, a mezzanotte ha piovuto champagne francese, ed io non avevo portato l’ombrello -.                                                                                             

Discorsi e auguri di buon anno, si sprecarono davanti a quel bar, una breve pausa per il pranzo e poi ripresero sino a tardi.                                                                                                   Sarà stata la stanchezza o il “costipo” della sera prima, ma andai a dormire che mi sentivo un po’ strano, non tanto bene.                                              

Feci il sogno che vi racconto:                                                                

“ Il  COVID dell’anno prima, aveva messo in luce tutte le fragilità e le debolezze del mondo di fronte al diffondersi del VIRUS, ma soprattutto aveva dato l’idea ad un dittatore pazzo e con manie di grandezza, di ricostruire  in proprio, quanto era accaduto per caso.                                                                                                                                       In un laboratorio nascosto tra i monti, in un Paese vicino, era già pronto un VIRUS letale che a breve sarebbe stato diffuso nel mondo attraverso un migliaio di volontari devoti alla causa.                                                                                                    Nessuno avrebbe avuto il tempo necessario per fermarlo e il dittatore pazzo, sarebbe diventato in poco tempo padrone del mondo.                          C’erano anche poche dosi di vaccino già pronte, da condividere con pochi intimi, pochi intimi nel mondo.                                                                                                   Quando il VIRUS cominciava a travolgere il mondo mi svegliai “. Mi sveglia un po’ spaventato, ma mi resi subito conto che altro non poteva essere che un sogno e mi tranquillizzai.

Pensai al mondo così perfetto, così preciso, così sincronizzato, pensai alla sua straordinaria bellezza, ai paesi e alla gente, al cielo e al mare, al sole e alle stelle. Arrivai ad una conclusione che, a pensarci, ancora oggi mi appartiene:  NO, NON PUO’ FINIRE COSI’.                                                                                                                               Che strano, all’improvviso mi era tornata in mente quella insopportabile frase                          che per tutto il tempo del ricovero in ospedale, mi era girata in testa.                                                                 La stesse parole che mi dicevo, le stesse parole che mi ripetevo e che non                           riuscirono mai a convincermi: NO, NON PUO’ FINIRE COSI’.