Rubriche/di Piero D’Errico

Il giorno in cui hanno trovato il corpo di Giulia avevo in fila mille cose da fare.

Non ho fatto nulla.

Ho solo pensato a quanto successo e ancora oggi ci penso.

Mi sono fatto mille domande, mi sono dato mille risposte, alcune contraddittorie, altre escludevano altre.

Quel giorno mi sono inchiodato mentre analisi, recitazione e cinema prendevano il via.

Mi sono inchiodato travolto da una giostra mediatica, da una gara tra chi si mostrava più triste e sconsolato e in cui si confondeva finzione e verità.

Esprimo oggi il mio pensiero libero, il mio pensiero che non si preoccupa di poggiare nel punto di maggior consenso, nel punto più condiviso, nel punto dove scatta l’applauso.  Non mi serve.

Dico la mia lontano dal frastuono delle sfilate e dei cortei, lontano dalle parole e dalle frasi interessate ad altro.

Il mio è un pensiero ignorante, un pensiero comune come può essere quello di una casalinga che segue il fatto alla TV e intanto prepara la cena alla figlia della stessa età di Giulia senza mai togliere lo sguardo dalla porta, in attesa di sentirla aprire e   vederla entrare.

E intanto il cuore già si ferma per un minuto di ritardo.

Sono cresciuto in una famiglia in cui ogni giorno era una gioia, in cui si parlava, a volte anche troppo, di tutto e di più, in cui non c’erano segreti, non c’era né ombra né traccia di patriarcato. 

Ho avuto quasi sempre dieci in condotta e sono stato sempre un modello per affettività e rispetto e ancora oggi se vedo qualcuno che dorme per strada, fermo il traffico per chiedere cosa posso fare, come posso aiutare. 

E se magari per mangiare hanno bisogno degli ultimi 5 euro che ho, non ho nessun problema.

Le mie riflessioni hanno mescolato dentro un fatto così atroce:

l’ignoranza, come quella di qualcuno a cui ancora non hanno detto che il delitto d’onore non c’è più, ci hanno messo la disuguaglianza economica quando diventa “violenza”, ci hanno messo il patriarcato che inutile nasconderlo resiste ancora da qualche parte, ci hanno messo l’insofferenza dei giovani ai NO, la disgregazione dei valori, le frustrazioni e poi l’umanità perduta e poi ….. ancora  e poi.

Tutte cose che se anche agiscono separatamente possono portare, se estremizzate, ad una inimmaginabile conclusione.

Ci ho messo anche quel NO in amore che ai miei tempi diventava uno stimolo, diventava voglia di dimostrare un errore e magari veder trasformato quel rifiuto ricevuto in rimpianto.

Credo che in tutti noi ci sia un mostro pronto ad uscire.

Spero solo che il Signore ci eviti l’occasione che lo farebbe uscire.  E’ solo una questione di fortuna, di posti e momenti sbagliati.

E allora mi chiedo: se una triste storia come quella capitata a Filippo fosse capitata a me, col mio vissuto, e io come lui vivessi le pene dell’inferno per un NO in amore, per un rifiuto non sopportato, e affonderei per questo in una sofferenza così forte da togliemi la lucidità che ho sempre avuto.

Quella fine di un amore che scambi per la fine del mondo, quella fine che non avevi messo in conto. 

Quel NO che ti riporta indietro alla casella iniziale e da lì devi ricominciare da capo e da solo.

Mi vedo io nella sua stessa occasione e col mio vissuto, mi chiedo se la mia ragionevolezza avrebbe resistito o sarebbe stata sopraffatta. Se quella storia avesse avuto epilogo diverso.                                                           

Me lo chiedo così, solo per tranquillizzarmi per capire se il mio trascorso mi avrebbe tenuto al riparo, se il mio vissuto mi avrebbe fatto da scudo e  mi avrebbe aiutato a  scrivere un finale diverso.

Non lo so.

Proverei per me la stessa pena che provo per lui, per aver mandato all’inferno tutto quello che di buono c’era in me.

Quando finisco di scrivere questa lettera è già sera. Sono a casa.

Accendo la TV ed è come aprire il sipario al solito inconfondibile

bla……….bla………bla……..