Cronaca/di Sandra Antonica consigliera comunale PD

Il tempo è galantuomo. E la storia arriva prima o poi. Arriva ad insegnare e segnare la verità come un solco nella pietra. 

Il solco che ieri ha tracciato Galatina nel suo patto di amicizia con Assisi farà la storia. 

Questa storia è un filo che lega due Città e due Santi, due basiliche e due comunità. 

Il filo c’è e nessuno può o vuole negarlo. Né sminuirlo.

L’unico problema è l’ago con il quale quel filo entra e cuce le cose e le persone.

L’ ago che tutti abbiamo avvertito sulla nostra pelle quando, attoniti, abbiamo assistito all’atterraggio  dell’elicottero all’interno dello stabilimento Colacem.

In quel momento, nello stesso momento in cui l’elicottero è atterrato portandoci in dono la bravissima Sindaca di Assisi e la penna con la quale avrebbe firmato un patto, quell’ago è entrato nella carne viva di ogni cittadino di buon senso. 

Per carità, le parole patto e amicizia hanno un’accezione positiva. 

Ma sono anche sinonimi delle parole compromesso e affinità.

E la giornata di sabato è apparsa a tanti, me compresa, la giornata dei sinonimi e contrari.

Perché le parole, ancor più se pronunciate da un altare, hanno un peso e soprattutto un senso.

Abbiamo richiamato continuamente l’arte, la cultura e la bellezza. La fede, San Francesco e il suo esempio.

Ma, agendo esattamente nel senso opposto, abbiamo dato vita ad una diretta televisiva nel luogo sacro, producendo decine di flash e luci negli ultimi anni vietate per preservare gli affreschi, con uno schermo che addirittura oscurava l’altare. Le poltrone rosse in pelle per permettere una passerella costata ben 12.200 euro dei cittadini galatinesi elargiti a Telerama e al suo editore proprio nella casa dei frati minori che, come scelta di vita e di fede, sono vocati all’umiltà, al silenzio e alla povertà.

FORSE SAREBBE BASTATO UN LEGGIO.

Abbiamo dato vita a tutto ciò ispirandoci ed augurandoci un ritorno nella direzione dell’ormai abusato teorema del turismo esperenziale, mentre il ponte per tutto ciò veniva magistralmente costruito all’interno e sul piazzale di un azienda importante ma ad alto impatto ambientale

 Abbiamo si(!)invocato la pace, la solidarietà e la giustizia.

  Valori però straordinariamente distonici con il continuo conflitto tra diritto al lavoro e diritto all’ambiente.

E non richiamerei temi così importanti se non fosse che la vera regia dell’evento, non quella televisiva, è stata affidata dai nostri “illuminati” amministratori ad un Mecenate che per mestiere produce cemento.

Che, tra fondazioni, banche e televisioni di proprietà  esalta le sue radici umbre e definisce “un rudere” il cementificio prima del suo acquisto, elogia la “sua” Festa dei Ceri” , ben altra cosa rispetto alla nostra festa o festicciola della “tarantola”. Bontà sua. Una narrazione tanto campanilistica quanto offensiva per questo territorio.

Invita il nostro sindaco a “tornare in Umbria” gettando ancora più ombre sulle dichiarazioni in consiglio comunale, dove il  Primo Cittadino  asseriva davanti all’assise che lui la proprietà non l’aveva mai incontrata da privato cittadino (però) mistificando così fatti e verità.

Lo stesso Sindaco, che invitando il Cavaliere sul palco, china il capo quasi simulando un inchino, l’unica vera immagine evocativa dell’intera serata.

Dal palco solo un laconico “al lavoro poi ci penseremo, vedremo un po’”

In qualche modo faremo.

Solo questo.

In una Città che vuole avere certezza che il futuro di Colacem sia la produzione di Cemento e non altro.

Che è preoccupata dal fatto che i livelli occupazionali nello stabilimento sono scesi di oltre il 50% negli ultimi 10 anni e che continua ad accedere agli ammortizzatori sociali per molti mesi all’anno. Per non parlare dell’indotto.

Galatina  ha bisogno di investimenti, lavoro e innovazione tecnologica per rispettare l’ambiente. 

Oggi più che mai la nostra meravigliosa Città ha bisogno di coltivare sinonimi e di eradicare i suoi contrari.

E se alla storia dobbiamo volgere lo sguardo, del Medioevo godiamoci l’arte e la bellezza di Assisi e della nostra magnifica Basilica.

Ed il privilegio di aver ereditato la forza d’animo e l’intelligenza di una donna straordinaria come Maria D’Enghèn.

Di certo non abbiamo bisogno di vassalli e valvassori che, sempre più spesso, si aggirano nelle stanze del nostro comune presentandosi come innovatori.

Fortunatamente non siamo ancora al “rogo delle streghe”.

Ma solo ad un gigantesco “falò delle vanità”.

Che di per sé non è un problema. A patto però che sia chiaro a tutti cosa intendiamo bruciare per alimentare quel falò.

Al Cavaliere dobbiamo una seconda possibilità. Lo attendiamo con il suo elicottero per avviare un confronto vero e franco sul futuro dell’impresa e dei nostri figli.

Ai mistificatori, invece, di possibilità ne abbiamo date già troppe.