foto di Clik Art

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Eventi/di Rosanna Verter

Galatina– Tante risate, tanti applausi, molti a scena aperta, meritati direi, dal pubblico che gremiva domenica sera, nonostante la pioggia battente, la sala dell’oratorio del Cuore Immacolato di Maria, in Via Soleto. Pubblico che ha avuto in regalo questa bella rappresentazione teatrale che è stata “… ni cantau lu caddhru” L’ho trovata bella, veramente brillante e gli attori alla loro prima, sebbene l’emozione trapelasse dalla loro voce, sono stati adattissimi alle parti loro affidate dall’abile regista Luca Trono. Tutta la serata è stata un appuntamento vissuto all’insegna dell’entusiasmo, della gioia più pura che almeno per tre ore ci ha fatto dimenticare la nostra quotidianità e che ci spinge a rivederlo ancora il primo febbraio, sempre presso l’oratorio del Rione Italia. E’ stato uno spettacolo che ha colorito una pigra serata invernale. Che dire della semplice e pulita scenografia? Che dire dei costumi? Gli attori sono stati perfetti nel nostro dialetto che non è sinonimo di arretratezza culturale, ma è la nostra radice, ci riempie l’animo, è nel nostro profondo. Sarebbe bello dopo questa esperienza che la lingua dei nostri padri, il vernacolo puro, venisse insegnato nelle scuole, per tramandare ai nostri figli quella che è la nostra identità culturale. Eugenio Barba diceva, in ambito antropologico teatrale: “Una parola o una frase possono mutare colore”. È chiaro che una parola, una espressione dialettale è molto più colorita di una detta nella lingua di Dante. Ma incuriosita da tutto ciò ho incontratto Luca Trono adattatore e regista della commedia.

A fine spettacologli  ho rivolto alcune domande  a cui si è gentilmente offerto di rispondermi..

Ci conosciamo ormai da qualche anno. In questo tempo ho avuto modo di apprezzare le tue idee, le tue realizzazioni, la tua passione per la musica corale, si dice così?, ma mai avrei potuto immaginare che tu dessi vita ad una piccola compagnia teatrale. Una domanda un po’ da Alice nel paese delle meraviglie. Da dove nasce questa tua intesa con il teatro? come ti sei avvicinato a questo mondo?

Essere uomo vuol dire innanzitutto Amare! Tra le tante forme di amore c’è quello dell’ artista ! L’ amore per l’arte include ogni forma di espressione dell’ uomo che vaga errante alla ricerca della felicità, purché questa peregrinatio sia rivolta alla mera sublimazione del bello e di quanto il Creato mette quotidianamente e gratuitamente a nostra disposizione! Il canto, la musica, il teatro, la danza, la poesia sono solo piccole sfumature di quelle espressioni che rendono l’artista semplicemente attore, a volte inconsapevole, di un misterioso e affascinante disegno di una realtà molto più eletta e molto più elevata della e dalla condizione umana. Io non so perché ne posso delucidare interrogativi, so e sento dentro una forza propulsiva che mi spinge in ogni istante a guardare alle cose da una prospettiva diversa dal materialismo e lontana dal relativismo, una dimensione che mira esclusivamente a riconoscere il bello e cercare di renderlo visibile agli occhi di chi vuol vedere. Se in qualche misura, riesco, indegnamente a contribuire affinché usi, tradizioni e costumi di un tempo siano il trampolino di lancio per una proiezione verso il futuro e diventino la bisaccia che l’ uomo porta in spalla e dalla quale si nutre per continuare il suo viaggio, me ne rallegro perche vuol dire che ho fatto moltiplicare il talento che immeritatamente ho ricevuto da Di. Dopo più di vent’ anni trascorsi tra danza e teatro, don Pietro Minardi mi ha aperto le porte della Sua Parrocchia ed insieme ad un gruppo di ragazzi e signore abbiamo, negli ultimi due anni, lavorato cercando di donare agli altri le nostre competenze e mettendo a disposizione il tempo libero affinché progetti diventassero realtà tangibili nell’ unico intento di contribuire ai nobili scopi umanitari che il Parroco persegue e realizza quotidianamente a sollievo della sofferenza e della povertà.

Il teatro di Protopapa è ormai nella nostra tradizione, non si contano le sue commedie, ti chiedo: come mai hai scelto proprio“La furtuna” ? 

“La furtuna” è stata da me scelta per onorare un debito di riconoscenza verso una Grande donna e Amica a me molto cara, oggi fra gli angeli del Paradiso. Fu lei a propormela tanti anni fa e per lei oggi grazie a Dio l’ ho portata in scena.

Come è nata la collaborazione con gli attori?

mi sono limitato, in un anno di lavoro, a trasferire, senza alcuno sforzo e merito, le mie conoscenze a questi ragazzi! A loro e solo a loro che con enorme sacrificio, perseveranza ed abnegazione hanno lavorato duramente, va la mia gratitudine e merito.

Ho notato che hai dedicato particolare attenzione agli abiti.

Gli abiti sono stati accuratamente studiati e realizzati tenendo conto della fine dell’epoca ottocentesca per i nobili e l’inizio del nuovo secolo per i contadini. Le brave sarte hanno sopportato pazientemente le indicibili vulnerabilità delle mie esigenze sceniche.

Programmi per il futuro, dopo questo elevato momento culturale che ha sancito il tuo successo, tanto come regista quanto come adattatore.

Ritorneremo presto con la continuazione della Commedia che prevede nuovi personaggi, nuovi costumi e soprattutto nuove conoscenze che arricchiscono noi che le portiamo in scena ma anche il pubblico, che delle nostre opere è il vero ed unico protagonista. In fondo noi.. ci limitiamo a raccontare su un palcoscenico finto, la realtà che ogni giorno si consuma sul vero palco della Vita.

Un regista di norma ha sempre dei ringraziamenti da fare.

Assolutamente, sì. Il mio grazie va agli attori, alle costumiste, alle modiste, alle acconciatrici, alle sarte, a tutti coloro che mi e ci hanno sostenuto credendo nel nostro lavoro. Un grazie particolare alla dott.ssa Rosy Romano Fulgione, a Salvatore Santese e a Giuseppe Tundo, priore della Confraternita Madonna della Luce e per ultimo, ma non ultimo, a Don Pietro Minardi che con amore di Padre ci ha sostenuto, incoraggiato, spronato e consolato nei momenti di sconforto, e ha messo a nostra disposizione l’arredamento per la scenografia. A tutti nessuno escluso, il mio, il nostro grazie.

Questo è il suo dire ed io invece la dico con le parole di Carl Gustav Jung: questa intera creazione è essenzialmente soggettiva e il sogno è il teatro dove il sognatore è allo stesso tempo la scena, l’attore, il suggeritore, il direttore di scena, il manager, il pubblico, il critico. Questo è Luca Trono.